23.11.2008
CONCLUSIONE DELLA RASSEGNA "PRIMO PIANO SULL'AUTORE" DI ASSISI DEDICATA A PUPI AVATI
Si è trasformato quasi in un dibattito, l’incontro dal titolo “Il nuovo cinema italiano: la rivincita dei generi”, tenutosi alla presenza del maestro Pupi Avati ieri pomeriggio in una gremitissima Sala della Conciliazione del Palazzo del Comune di Assisi, nell’ambito della manifestazione “Primo Piano sull’Autore”. “Esistono ancora i generi cinematografici?”. L’argomento, introdotto come sempre dal patron della manifestazione Franco Mariotti, ci ha messo poco a scaldare gli animi dei partecipanti: sceneggiatori, produttori, esercenti e registi, coordinati dal direttore della rivista “Nocturno” Davide Pulici, si sono avvicendati confrontandosi e spaziando anche verso altri temi, quali l’attuale situazione del cinema italiano, il confronto con le altre realtà europee, l’analisi su come sia mutata nel tempo la detenzione e la gestione del “potere di decisione” nella catena creativa e produttiva italiana.
“Nocturno è nata quindici anni fa proprio dalla passione per il cinema di genere, un cinema che in Italia non si fa più da tempo” ha detto Davide Pulici, tracciando un breve profilo storico della questione, dalla crisi iniziata a metà anni ottanta agli attuali spiragli positivi e alle speranze riposte nei giovani autori. Di qui l’importanza dei 12 film e dei 4 mediometraggi della rassegna collaterale “La rivincita dei generi”, fortemente voluta da Pupi Avati e che continuerà a vivere nelle edizioni che verranno della manifestazione.
Tra i grandi problemi che incontrano i giovani autori (e non solo), quello della produzione è emerso con forza, insieme a quello della distribuzione:”Autoprodursi oggi è molto più facile, ma nonostante l’esistenza di Dvd, televisione e tv satellitari che potrebbero aiutare la circolazione seppur limitata dei piccoli film, ciò non accade” ha detto ancora Pulici.
Tornando al genere, Pupi Avati ha raccontato dei suoi esordi cinematografici. “Iniziai a fare cinema nel ‘68- dice il Maestro - proprio nel momento in cui il regista divenne titolare del film in ogni sua fase, riassumibile nella mutazione nei titoli di testa da regia di in un film di; ciò ha contribuito al declino precipitoso del genere, perché i film diventarono d’autore, riconoscibili non nel genere ma nello stile dell’autore che lo dirigeva e se ne appropriava. Il declino dei generi avviene dunque per nostra colpa, di noi famigerati sessantottini che guardavano al genere con spocchia, soprattutto la commedia. Non obbedivano al genere, lo mettevano in discussione, e così facendo abbiamo svuotato le sale, creando disamore nel pubblico italiano verso il suo cinema. Poi sono entrato nel genere senza rendermene conto”, ha continuato il maestro bolognese “ma ho fatto anche film musicali (insuccesso), un film sportivo (insuccesso), film d’avventura con spade e cavalli (uno strepitoso insuccesso). Ultimamente sono stato bocciato anche nel genere: Il nascondiglio non è andato bene”.
Dei problemi legati agli esordi ha parlato anche la regista Cinzia Th Torrini, che ha avuto la fortuna di presentare la sua opera prima alla Mostra del Cinema di Venezia:” Il problema della distribuzione c’era anche allora, ed era il 1982. La fortuna fu vincere il premio Agis, che mi aiutò. Oggi sarei felice se si tornasse a fare cinema di genere: ricordo quando volevo fare i gialli e mi rispondevano no, bisogna fare cinema d’autore. Adesso mi chiedo perché realizzi gialli per la televisione”.
Anche il regista Tonino Valerii racconta un’esperienza molto simile:“Facevo il western, ho fatto anche il noir, ma mi sono fermato perché non c’era udienza: mi dicevano ma chi lo va a vedere…
Per lo sceneggiatore Giancarlo Scarchilli “non c’è più l’esigenza del racconto, manca l’appartenenza, e la passione” mentre per Filippo Ascione, sceneggiatore anch’egli “il papà del genere non è il regista ma il produttore, esiste il paradosso degli attori che vengono ingaggiati per due o tre film di cui uno da autore, senza alcuna esperienza. Così non rinascerà il genere. L’unico paese europeo che conserva questa tradizione è la Spagna, poi la Francia. Non a caso il più grande successo in Francia è “Giù al Nord”, che ha riportato al cinema gente che non ci andava da anni: un francese su tre l’ha visto”.
“La colpa è di tutti, “di quel che ci circonda, siamo noi” dicono i produttori presenti, “abbiamo numerosi talenti tra sceneggiatori, registi, produttori, e dovremmo prendere esempio proprio da Pupi Avati, che in quarant’anni di anni di carriera ne ha passate tante, e ora ha fatto un film che è andato benissimo”.
Per il regista Francesco Massaro sarebbe importante capire “quante persone determinano in questo paese ciò che devono vedere gli spettatori. Dovremmo avere tutti la forza di rovesciare il tavolo, mi auspico una revisione del tavolo di discussione, per capire la causa dell’attuale inaridimento: in tv generi si sono spappolati”,
In conclusione, i presenti hanno riconosciuto che questo è stato un ottimo anno per il cinema italiano (il successo di “Gomorra” di Matteo Garrone e de “Il Divo” di Paolo Sorrentino), e che spesso avere le capacità economiche non basta (è stato citato il recente caso di Ridley Scott, il cui ultimo film, costato 100 milioni di dollari, ne ha guadagnati 20).
Ci sono dunque ancora le condizioni per fare buon cinema, in Italia, e le speranze sono riposte anche nei giovani autori della rassegna collaterale, che nel finale dell’incontro sono stati chiamati con i loro attori, attrici e sceneggiatori, portando una ventata di freschezza e novità.
Grandissima partecipazione anche questa mattina, presso la Sala della Conciliazione del Comune di Assisi, per il convegno – ma il professor Orio Caldiron, in veste di coordinatore, l’ha definito “una festa per Pupi e con Pupi” – in onore del grande maestro bolognese. I lavori si sono aperti con un messaggio di saluto inviato dal Ministro della Cultura On. Sandro Bondi, che è stato soltanto il primo della lunga lista di nomi che quest’oggi hanno voluto omaggiare ed esprimere i loro ringraziamenti per Pupi Avati.
Insieme al già citato professor Caldiron, a coordinare c’era anche Steve Della Casa, nonché il direttore della rassegna, Franco Mariotti.
Il primo a prendere parola è stato Ernesto G. Laura, che nel suo intervento ha sottolineato l’assoluta originalità del cinema avatiano (“Ci sono registi da cui sai cosa aspettarti, invece registi come Pupi sanno cogliere di sorpresa, ti spiazzano sempre. Per esempio l’horror, o meglio il fantastico, è un genere particolarmente nelle sue corde, non c’è mai una ripetizione di film in film, o stilemi che si ripetono. Avati non si è mai seduto sul successo, è lo stesso tipo di regista di Fellini, che dopo “La strada” si rifiutò di fare film simili come gli veniva chiesto. L’unica volta che l’ha fatto è stato “La rivincita di Natale”, che riprendeva “Regalo di Natale” ma parecchi anni dopo, dunque senza sfruttare il successo del precedente film”).
Altro tema toccato da Laura è stato il rapporto con la storia (“Pupi non fa discorsi ideologici, il film “Una gita scolastica”, uno dei suoi capolavori assoluti nel raccontare la storia di una piccola Italia che si crede grande, in cui non succede nulla ma succede tutto, perché è un film sull’umanità. Sullo stesso filone anche “La via degli angeli”, in cui rievoca una storia familiare senza minimalismi, rendendola emblema del nostro paese. L’accusa fatta da alcuni critici di minimalismo è infondata”).
Anche per Steve Della Casa non esiste un film di Avati uguale a un altro, “non esiste un filone in cui incanalarlo”.
Articolato e puntuale l’intervento di Valerio Caprara, secondo il quale nella filmografia di Pupi Avati “la nozione di film di genere e di film d’autore non sono incompatibili, ed è uno dei pochissimi casi del cinema italiano, che considera genere e autore in antitesi”. Caprara definisce Avati “il nostro storyteller, un creatore di personaggi, laddove nel nostro cinema c’è vuoto e ipertrofia dell’ego”. Inoltre Avati non ha mai cercato lo scivolo delle mode, ma “ha lavorato duramente sulla realtà per rappresentarla”. Il nodo della sua poetica non è ancora stato sciolto, e ad ogni suo nuovo film “noi professionisti siamo sicuri che Avati ci saprà sorprendere con la suspense della storia e del sentimento, che si sprigiona soprattutto dalla cifra stilistica classica, lineare, fluida”. Il suo è uno sguardo “mai confettato né moralista” e i suoi film sono sempre una favola nutrita di realtà contorta, in cui “il ricordo creativo diventa libertà, anche nei luttuosi e meno solari eventi ricordati, come avviene ne “Il papà di Giovanna”.
Anche Tullio Kezich non può fare a meno di citare Federico Fellini “Pupi mi ha detto: studio per Fellini. Secondo me è già laureato: lui ha fatto 40 esami, e Fellini 24”. Per Kezich Avati non è soltanto un cineasta, ma anche “un cantafavole: una figura importante, che esiste da quando ci si riuniva intorno la fuoco per narrare storie di caccia. Una persona come Pupi è un regalo. Quando inizia a raccontare una storia noi in pochi minuti siamo tutti interessati”.
Commosso l’intervento di Pupi Avati: “Volevo dire a mio fratello che ne valeva la pena. Valeva la pena passare questi 40 anni così. E questa giornata mi conferma che ne valeva la pena. Oggi ho fatto finta di non essere io, ma il signore che mi era accanto…”, poi continuando “gli aspetti umani sono sempre stati prioritari per noi, ci siamo anche sentiti molto soli, non tutti gli anni ci hanno dedicato convegni. Noi proveniamo dalla società del fare, che si è trasformata nella società del dire. Chi ne parla forse vive meglio di chi la cosa l’ha fatta. Vi garantisco che se noi facciamo tanti film è perché ci esponiamo finanziariamente. Fare cinema oggi è un lusso, è costoso”.
Lino Capolicchio, attore di Pupi dai tempi de “La casa dalle finestre che ridono”, racconta che quando è stato chiamato da Avati era un divo. La più grande felicità della sua vita è stata “quando ho fatto “Jazz Band”: non vedevo l’ora di arrivare sul set, e di lavorare. Ovunque nel mondo mi citano per due soli film:”Il giardino dei Finzi Contini” e “La casa dalle finestre che ridono”. Dunque qualcosa di me rimarrà”.
Francesca Neri premette subito che la sua testimonianza sarà “una dichiarazione d’amore, come da tre anni a questa parte è amore per Pupi e Antonio Avati. Il mio rapporto con Pupi è iniziato da poco,con un film che non avrei mai pensato di fare, in un momento in cui la carriera da attrice mi dava poche soddisfazioni, pensavo più alla carriera da produttrice. Anche con “Il papà di Giovanna” è stato difficile accettare il ruolo, ma lui ha saputo accompagnarmi in questa specie d’avventura, La cosa più bella è che Pupi sul set è un giullare, appena finisce il ciak.e sdrammatizza tutto. Il suo entusiasmo non lo ritrovo neanche nei giovani, lui è sempre all’opera prima, è un ragazzo di 70 anni”.
Vittorio Giacci: ”Pupi è uno che spiazza sempre, non è molto comodo. Lui è un arcano incantatore, narra storie sospese tra magico e realistico. I suoi sono personaggi stra-ordinari” . Infine Massimo Bonetti: ”Ogni attore vorrebbe lavorare con Pupi: scrive storie interessanti e sa dirigere gli attori”.
Anche quest’anno a conclusione dell’iniziativa verrà assegnato il Premio Domenico Meccoli "ScriverediCinema", giunto alla XVII edizione, a quanti si sono distinti, nell'arco dell'anno, nella scrittura cinematografica.
Ufficio stampa: Maya Reggi e Raffaella Spizzichino
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