Sotto il vestito Refn. Non la passerà liscia, stavolta. E' già accerchiato da spettatori medi e da critici spocchiosi che cominciano a cavalcare con volgare e prevedibile protervia la tiritera dell'autore di grido disturbato dallo stile, svuotato nei contenuti e ormai in balia di se stesso. Tutto tecnica e molte chiacchiere. Ed invece, signori miei, ricredetevi perchè ci troviamo di fronte ad un cinema potente, di forte impatto visivo, magari asservito anche ad un narcisistico autocompiacimento, che rende lo spettatore complice e, alla fine, inconsapevolmente naufrago. Refn ha rimestato stavolta la parabola amara di Dorothy Stratten (portata sullo schermo trent'anni fa da Bob Fosse) e il viaggio terrificante negli inferi dell'invidia di una novella Alice nel paese delle meraviglie e delle illusioni: una città degli angeli ormai abitata solo da demoni. Il pretesto, a dire la verità scarno anche nello svolgimento, è un pò come nel cronenberghiano "Maps to the stars" un feroce attacco alla civiltà del consumo estetico che inghiotte anime e corpi senza distinzione alcuna. Capita così, con la leggerezza dei suoi sedici anni, la povera Jesse (Elle Fanning), con un passato misterioso, nello scenario desolato e sfavillante dell'alta moda di Los Angeles. La sua bellezza, innocente e naturale, viene subito intercettata dagli addetti ai lavori: un'agenzia di top model che senza battere ciglio la lancia nel giro che conta ed un fotografo che pensa di stare in un film di Antonioni e la fotografa con morbosità e veemenza, plasmandola. Jesse è ambiziosa ma non sa di esserlo, con aria innocente e smaliziata cerca di camuffarsi da buon agnellino in un sottobosco di lupi famelici e finisce, senza poterlo prevedere, nel giro sadico della ritorsione di un gruppo di colleghe ossessionate dalla bellezza che temono di essere oscurate da lei. L'epilogo è un incubo nel vero senso della parola che non disdegna alcuna pratica disumana: necrofilia, cannibalismo, odore e sapore del sangue. Con vittima sacrificale.
Le illuminazioni al neon di Natasha Braier e le musiche progressive di Cliff Martinez chiariscono subito il concetto sin dalle battute iniziali: più che sui sentieri praticabili del cinema (anche se al momento viene difficile trovare sul mercato un'opera più cinematografica di questa) siamo nei paraggi controversi della videoarte. Più che nelle occasioni precedenti NWR (che ricorre al monogramma come marchio di fabbrica sin dai titoli di testa) svuota all'osso il contesto narrativo inseguendo la sua eroina, che diventa preda, in una vertiginosa, spaventosa caduta negli inferi dello star system. NWR rincorre la bellezza ideale attraverso un gruppo di magrissime e algide pretendenti che, come le sorellastre di Cenerentola, soffrono un complesso di inferiorità senza via d'uscita nei confronti dell'ultima arrivata. E' un'operazione estetica che ovviamente si attorciglia su se stessa, prendere o lasciare, attraverso una meditata e a volte davvero personalissima tendenza videoclippara portata all'esasperazione. Ma NWR non sbaglia una inquadratura che sia una. Come in una precisa e lunga galleria di opere d'arte coglie la profondità degli spazi attraverso l'illuminazione, la violenza dissennata e liberatoria con un abuso di rosso che va a contrasto con i colori con cui è illuminato. Non sappiamo fino a quando le citazioni da precedenti autori siano volute o meno. Certo è che l'autore di "Drive" pigia l'acceleratore con lunghe e inedite sequenze stroboscopiche importando maledizioni di lynchana memoria. Verrebbe da pensare anche alla Jessica Harper di "Suspiria", ma qui i dubbi aumentano. Straordinario il ninfeo: comandato dalla bellissima Elle Fanning nelle sue straordinarie evoluzioni pericolose e nelle trasformazioni estetiche affidate al make up inteso anch'esso in forma di opera d'arte.
Uci Cinemas, Molfetta - 9 Giugno 2016 |