Da più di trent'anni ormai i fratelli Coen si divertono a giocare col cinema e le sue molteplici implicazioni, coinvolgendo più o meno con gli stessi appigli emozionali provocati dalla nostalgia gli affezionati che rispondono puntuali alla chiamata. Sono stati anni discontinui, trascorsi fra capolavori ben fissati nell'immaginario collettivo e opere non proprio totalmente riuscite, apprezzate più che altro per la loro indiscutibile pregevolezza tecnica. Nella "terra di mezzo" si inserisce questo "Ave, Cesare!", divertissement che era nell'aria da tempo, in cui i Coen tornano a raccontare il fermento della Hollywood degli anni '50, ambientazione ideale per suggerire le frenesie e le contraddizioni d'una fabbrica di sogni al suo massimo per depurare il malessere e i traumi post conflitto mondiale. Con la guerra fredda alle porte e i primi test nucleari nel Pacifico, gli Studios Capitol diventano in pratica un microcosmo riparatore affidato in tutto e per tutto alla resistenza e alla risolutezza di Eddie Mannix (Josh Brolin) che è un produttore tuttofare allenato a risolvere a suo modo i problemi quotidiani fuori e dentro i numerosi set cinematografici. La sua routine si apre alle cinque di mattina con un blitz nella casa di un fotografo scandalistico per trarre in salvo una malcapitata stellina degli studios, finita incautamente sotto i suoi scatti selvaggi e poco raccomandabili. Mannix dovrà vedersela poi nell'ordine con un legnoso giovane attore (Alden Ehrenreich) per il quale ci si augura un passaggio dal western alla commedia sofisticata che metterà in crisi un regista navigato (Ralph Fiennes); un'attricetta (Scarlett Johansson) di pellicole con coreografie acquatiche rimasta incinta, alla ricerca rapida di un padre che si assuma le responsabilità per sdoganare la notizia in cronaca rosa; un attore ballerino ambiguo e doppiogiochista (Channing Tatum) ma soprattutto la sparizione di Baird Whitlock (George Clooney), attore di lungo sorso, rapito da una banda di sceneggiatori comunisti a scopo di estorsione. Nell'arco dell'intera giornata Mannix dovrà risolvere volta per volta tutte le grane degli studios e resistere all'allettante proposta di lavoro di un alto dirigente della Lockheed. Con i negozi pieni di televisori pronta consegna, il cinema a conti fatti, rischia di non garantire più un futuro tranquillo...
Non vi sono mezze misure, come già capitato in operazioni analoghe: o ci si lascia ammaliare dalla folgorante macchina visiva che i Coen sfruttano a pieno regime oppure si corre il rischio di uscirne frastornati e disorientati. "Ave, Cesare!" è un sofisticato e ricco luna park che delizierà i sensi dei cinefili più accaniti, presi per il bavero dal fascino di un periodo storico fecondo, ricco di intuizioni e con la fabbrica dei sogni al suo meglio: cavalcate nelle praterie, kolossal biblici, balletti coloratissimi fuori e dentro le piscine degli studios. Pigiando l'acceleratore della fantasia e dell'ironia, con una ricostruzione scenica che va ben oltre gli abituali meriti di questi due talentuosi autori, ci si sffida all'estro dell'abituale direttore della fotografia Roger Deakins che si supera in guizzi e voli pindarici del ritrovato technicolor. L'effetto nostalgia non è tanto sterile e snobistico quanto le premesse lascerebbero immaginare; certo la cinefilia è un tessuto di raccordo immancabile per instaurare un rapporto di intesa con il mondo e le storie che i Coen intendono raccontare (e non manca il condimento di una ritrovata autoironia yiddish). Il film nella sua frammentarietà e nel suo frequente rapporto fra cinema e metacinema, fra pellicole immaginarie che rimandano all'epoca d'oro, risulta in fin dei conti prezioso ed impagabile. Merito anche di un cast che si diletta in partecipazioni speciali e di contorno, mettendosi al servizio di un meraviglioso dismesso Josh Brolin, impiegato rassegnato e allo stesso tempo combattivo. George Clooney, Scarlett Johansson, Tilda Swinton e Ralph Fiennes si alternano con mestiere in una sarabanda scatenata in bilico fra "Hellzapoppin'" (che precede il periodo raccontato di un decennio) e il giallo-rosa alla "Who framed Roger Rabbit" non privo di contaminazioni caustiche alla Blake Edwards. Ci si diverte con intelligenza grazie al mestiere e soprattutto alle benefiche infiltrazioni di grande cinema visionario (come già in "Barton Fink") asservito ad una vertiginosa e imprevedibile cavalcata dei generi cinematografici classici rifatti, venati d'un sano, sincero, appassionato romanticismo.
Uci Cinemas, Molfetta - 13 Marzo 2016 |