E' uno dei pochi veri, autentici, piccoli casi riconosciuti come tali in un panorama cinematografico italiano senza particolari sussulti; un tentativo coraggioso e non facile di tentare strade poco praticate come quello del cinema di genere legato ai supereroi. Nasce con questa freschezza e parecchio entusiasmo "Lo chiamavano Jeeg Robot", film che segna l'esordio nel lungometraggio per il giovane Gabriele Mainetti, già vincitore con "Tiger Boy" (2012), che a questo punto potremmo definire seminale, con più di un legame certo col mondo manga e anime (se consideriamo anche l'omaggio a Lupin III con il corto "Basette" che era del 2008). Un film che capitalizza al massimo un budget non proprio da blockbuster, mettendo a frutto le uniche risorse possibili quando le fonti scarseggiano e la post-produzione diventa un miraggio: le buone idee, l'estro e l'inventiva. Nella Roma criminale periferica dei nostri giorni, assediata dal rischio attentati, per essere precisi nel quartiere di Tor Bella Monaca il livello di tensione è al massimo per via di alcune bande che controllano il traffico di droga. Enzetto Ceccotti (Claudio Santamaria) è un ladruncolo che vive di espedienti, nella solitudine di un appartamento lugubre e fatiscente. Privo di affetti, colleziona film porno in dvd e arrotonda con piccoli furti, remunerati dai ricettatori della zona. Un giorno per sfuggire alla cattura precipita nel Tevere e, senza accorgersene, viene a contatto con una sostanza radioattiva che lo dota di una forza sovrumana. Enzetto lo scopre precipitando dal nono piano di una palazzina in costruzione senza farsi nemmeno un graffio. In un primo momento pensa bene di mettere a frutto questo bizzarro dono del destino per compiere atti criminali più sofisticati. In un secondo momento, invece, si metterà contro la banda di Fabietto "lo zingaro" (Luca Marinelli), per difendere una povera ragazza disadattata, figlia di un suo complice. Tutto questo mentre è in corso una disputa fra clan malavitosi di Tor Bella Monaca e una batteria di camorristi.
E' un film di genere e, come tale, esposto a tutti i rischi fruitivi che non mancheranno ovviamente di richiamare fasce generazionali interessati alla materia. Scritto in modo curioso e funzionale da Nicola Guaglianone e il fumettista Menotti, è un lavoro che mostra caduta e ascesa di un solitario in guerra perenne con oscuri nemici, fra i quali la sua anima nera e taciturna traumatizzata dall'emarginazione. Come in "Suburra" mostra una Roma livida e spenta e al regista riesce una buona intuizione: quella cioè di parlare per due ore d'un supereroe metropolitano realista e infelice. Non vi è alcuna atmosfera di intrattenimento e i cattivi si guardano con il filtro della sfida sociale. In questa resa si rivela generoso e audace la performance di Luca Marinelli, dietro il cui personaggio continuano ad agitarsi le ombre di Cesaretto, dell'ultimo film di Caligari. Claudio Santamaria mette da parte tutti i possibili rischi dell'ironia intavolando una partita all'ultimo sangue con dei barbari, perfetti esempi della inquietudine di una società moderna e incivile. Si sta al gioco, comunque, con i vari omaggi sparsi al celebre cartone degli anni '70 (Jeeg Robot d'acciaio), che furoreggiava nelle tv private facendo concorrenza al mondo di Goldrake. Vivace nella sua freschezza e genuinità, ma spacciato per un film d'azione che in fondo non è, va preso nella sua accezione migliore: cuore e acciaio per un noir ritrovato, come una perla nera e luccicante, in una circostanza di desertificazione realizzativa dovuta all'appiattimento e alla pigrizia di produttori poco audaci. Bravi tutti i tecnici che hanno dato il massimo: dal direttore della fotografia Michele D'Attanasio alle buone musiche che lo stesso regista ha scritto con Michele Braga. Un film che lascia spalancata la possibilità di un percorso seriale, che ne rappresenta, forse, il rischio d'impresa.
Uci Cinemas, Molfetta - 28 Febbraio 2016 |