Se il cinema riuscisse misteriosamente a riappropriarsi del suo potere informativo, educativo che ha avuto in anni di minore frastuono circostante, il coraggioso cinematografare di Gianfranco Rosi inciderebbe con maggiore forza sulle nostre coscienze. Nella sua forma anomala, a metà strada fra il freddo taglio documentaristico e il personale racconto veristico di microcosmi sconosciuti, la perseverante onestà di questo autore passato in trincea ormai da tempo, ha una forza visiva pari solo alla sua discrezione. E' una freddezza, quella che il suo singolare distacco richiede, che si accompagna ad un pudore misto a disagio. Nel caso in questione l'atroce punto di osservazione diventa quella di un testimone consapevole della incredibile continua battaglia morale che si combatte da molti anni del canale di Sicilia, meta tragica degli illusori flussi migratori della speranza di gente che scappa dalla fame e dalla guerra. Lampedusa, ultimo lembo di un'Europa a volte incapace, a volte distratta, diventa una meta da raggiungere, un sogno impossibile. Rosi decide così di raccontare il tempo sospeso nella metodicità di alcuni isolani: Samuele, un ragazzino tranquillo, che passa le sue giornate fra la scuola e i giochi all'aperto, mentre suo padre va a guadagnarsi il pane in mare e sua nonna pensa alla casa; un pescatore che si immerge con la sua tuta subacquea quando il mare glielo permette; una vedova che se ne sta sempre in casa; un programmatore radiofonico dell'emittente locale;l'unico dottore dell'isola al quale è toccato il compito ingrato di curare e constatare i numerosi decessi dei profughi. L'emergenza su Lampedusa è impalpabile, non quanto un allarmante senso di solitudine che non è dato solo dalla posizione geografica, ma dall'assenza delle istituzioni. Una battaglia morale, si diceva, che si combatte quotidianamente da soli con i mezzi a dispozione: la capitaneria, i militari richiamati di notte da avvistamenti e chiamate radio disperate.
Nulla di nuovo sotto l'aspetto stilistico, Il rigore formale e la coerenza visiva di Gianfranco Rosi si riconfermano in un film che sotto certi aspetti richiama altri microcosmi sul quale il bravo regista si è soffermato nei precedenti lavori, ma che qui trovano soluzioni narrative davvero sorprendenti e raccapriccianti. Lo spettatore si ritrova inchiodato davanti alle proprie indirette responsabilità e la questione dei "viaggi della speranza" che si trasformano spesso in notti da incubo con una drammatica scia di morti in mare viene vista in primo piano, senza troppa retorica, senza falsi patetismi. E' un vero e proprio pugno nello stomaco, davanti a queste povere anime, nonostante quel distaccato nobile rigore abituale di Rosi a non prendere una posizione prevedibile e scontata. Ma si viene travolti da un forte vortice di assurda pietà e di promesse mai mantenute di una terra poggiata interamente sui valori cristiani esercitati all'atto pratico da chi con molta difficoltà la abita. Un inquietante, lodevole tentativo di robustezza visiva e tematica che corona un deciso preciso: illustrare senza filtri un dramma che ha ben pochi nessi con le regole elementari dell'umanità. Un film che lascia increduli e basiti, fra sdegno e commozione e che trova momenti di un delicato disagio nello sfogo discreto e misurato di un professionista (il dottor Bortolo) che nel suo studio medico davanti ad alcuni suoi referti esprime tutto il suo dolore nel rifiutare l'abitudine alla tragedia. Momenti di cinema che faranno certo discutere ma che restituiscono dignità e potere a quell'incantesimo rosselliniano, diciamolo pure, distante purtroppo anni luce.
Cinema Abc, Bari - 21 Febbraio 2016 |