Se si potesse parlare di cinema puramente narcisistico e velleitario, ecco il film che fa al nostro caso. I bollettini di guerra provenienti dal set di "Occhiopinocchio" avrebbero dovuto anticiparci il rischio. Perchè si tratta di un'opera incompiuta, realizzata spendendo e spandendo miliardi in giro per il mondo. Ma anche uno scomodo oggetto di contesa fra un produttore abituato ai facili successi (Cecchi Gori) e un regista che ha ipotecato i suoi incassi sulle festività natalizie da trascorrere in sala (Nuti).
Alla fine ci rimette, come sempre, il pubblico; lo stesso che aveva avuto modo di apprezzare di dicembre in dicembre le commedie surreali e innovatice di un autore-attore toscano formatosi negli scantinati-cabaret ma penalizzato da un'atavica mania di grandezza. In fin dei conti questo "Occhiopinocchio" non è un film e come tale non lo si può nemmeno classificare; faremmo un torto sicuro agli altri illustri cineasti che per combattere lo strapotere americano lottano a sostegno del cinema italiano.
Ostentando la classica strafottenza di chi fa cinema soprattutto per se stesso, Francesco Nuti aveva annunciato alla stampa che questa ultima fatica gli era costata ben tre anni della sua vita e che, comunque sarebbero andate le cose, questa restava soltanto una sua personale rivisitazione della celebre favola di Collodi.
Ne prendiamo atto con la stessa tranquillità con la quale ci accingiamo alla stroncatura: "Occhiopinocchio" è privo di sceneggiatura di sostegno e non ha filo logico. I trenta miliardi e passa rientrati come un fulmine a ciel sereno sulle scrivanie degli amministratori sono stati sperperati per colmare, attraverso sparatorie, inseguimenti e acrobazie degli stuntmen, il grosso vuoto sostanziale. Brando (l'ottimo Ackland) è uno spietato affarista di Houston che con la morte del fratello, suo socio in affari, scopre di aver un figlio, avuto in seguito ad un rapporto occasionale con la sua domestica. Il bambino è stato allevato in un cronicario e non è mai venuto a contatto col mondo. Ora è un grande e grosso ragazzo ingenuo bisognoso di cure. Brando va allora a riprenderselo, pronto a dargli un nome, una casa ed un avvenire come imprenditore. Ma per sottrarsi a questo destino che poco in comune ha con la fantasia, Leonardo/Pinocchio (F.Nuti) scappa improvvisamente dalla sua nuova casa per intraprendere con Lucy Light (C.Caselli), una ragazzaccia evasa dal carcere, un rischioso viaggio verso l'ignoto.
Se di metafore si può parlare, getteremmo inevitabilmente fango su una delle pagine più significative della narrativa italiana, trasposta in questo caso da assurde e inqualificabili trovate spettacolari fini a se stesse. Nuti dilata i tempi, imbastendo un farneticante road-movie che non suscita alcun sentimento.
Il risultato è un film da evitare con cura, che ha tutti i requisiti di un kolossal andato in malora che non riesce proprio a nascondere i travagli sorti in fase di preparazione. Tanto basta perchè un discreto autore riesca d'un solo colpo a giocarsi la reputazione. Nuti ci è riuscito alla grande.
Cinema Odeon, Bari - Dicembre 1994 |