II Pupi Avati de "La casa dalle finestre che ridono" (1976), continua a farsi rimpiangere; benchè si diverta a riproporsi ogni volta con un diverso genere di film il pensiero ci riconduce immediatamente alle amare vicende di amicizie tradite, amori mai più riconosciuti, ricordi malinconici e subito si capisce che sia il thriller che il film "noir" (classificazione che meglio si addice a questo lungometraggio) meritano maggiore riguardo. Si da il caso che nonostante le buone premesse e soprattutto la straordinaria efficacia del soggetto anche con questo film abbiamo modo di assistere ad una partita già vista. Espedienti classici che hanno caratterizzato la filmografia di Argento negli anni Ottanta e che Avati non rinnega neanche per un attimo: la voce angosciante dell'assassino, qualche buon effettaccio e i deja vu si sprecano. Molto più interessante sarebbe valutare il film in chiave opposta, iniziando proprio dalla critica personale del regista emiliano verso quella interattività fra vita e televisione che ci preannuncia un futuro piuttosto preoccupante. Jason Robards III è un conduttore televisivo di successo che giunto all'apice della carriera rischia di mandare in malora anni di duro sacrificio; c'è qualcuno che lo ricatta, nello specifico un tizio che dice di conoscere una carognata commessa in gioventù, e che pretende di svelare questa brutta storia proprio in diretta televisiva. L'amico d"infanzia non scherza affatto: per convincerlo a non sottovalutare la questione diventa un serial killer ed elimina vittime innocenti. II passato del bravo presentatore nasconde davvero un brutto ricordo: uno stupro ripagato con ii matrimonio riparatore dell'amico e promesse da lui mai più mantenute. II suo antagonista del resto non ha nulla da perdere: ha pochi mesi di vita, ha già perso la moglie e ha un figlio rinchiuso in manicomio (in effetti sempre di finzione cinematografica si tratta); vuole solo riprendersi la sua rivincita, dimostrando che i fantasmi del passato arrivano proprio nel momento sbagliato. II mezzobusto abbocca e propone in prima serata una singolare diretta televisiva discutendo davanti a milioni di telespettatori i particolari imbarazzanti di questa triste esperienza. Gii indici d'ascolto hanno confermato ancora una volta il loro strapotere, la vita vera ormai hà perso per sempre il suo valore. Film a due facce, quindi, che segue due opposte metodologie narrative (il thriller e il dramma psicologico) per un tema unico; il cast composto esclusivamente da attori statunitensi è molto efficace, lo è un pò meno la sceneggiatura in parte condizionata da sbavature, dimenticanze, cadute di tono. Pur non riuscendo a sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d"onda degli horror degli esordi, Avati ripropone le insidie. i sensi di colpa e i rimpianti di una generazione martoriata dall'ipocrisia e dalla febbre di successo. E il film ha qualche punto in comune con "Quinto potere" sulla attuale nevrosi del mezzo televisivo. Si ha modo così di assaporare il retrogusto amarissimo di una vicenda che pur non essendo priva di effetti e colpi di scena, tende ad usufruire più dell'interesse suscitato dalla storia che dalle sequenze dell'azione. E la straordinaria poliedricità di Avati trova una sua dignitosissima riconferma, lasciandoci in balìa dei soliti interrogativi sulla scelta tipologica del suo prossimo impegno.
Cinema Ambasciatori, Bari - Maggio 1994 |