Cinque italiani lavorano nel cuore di Londra in uno scalcinato ma delizioso ristorante italiano per turisti dove gli inglesi accorrono convinti di condividere attraverso gli spaghetti scotti il fascino dell'italianità. Capeggiati da Domenico Ceccacci (N.Manfredi), allegro capobanda ciociaro che vuol convincere i suoi colleghi a trovare le quote utili per mettersi in proprio ed uscire dalla schiavitù del lavoro a padrone, i camerieri passano le serate a servire i clienti. Una sera però durante la chiusura del locale vengono sorpresi dall'irruzione d'un commando di tre ladruncoli di colore disperati, venuti a portar via l'incasso. Non tutto fila liscio, la polizia accorre immediatamente e la rapina non viene portata a termine. Il capo dei banditi che si fa chiamare "comandante Martin" (R.Walker) decide di dare una svolta politica all'operazione, per avere degli attenuanti e migliorare il lato penale della questione. Al mancato colpo segue prontamente il sequestro dei cinque ostaggi in nome di una improbabile causa ideologica. Le trattative vanno per le lunghe, qualcuno cede alla paura, le forze dell'ordine preparano in segreto il piano di irruzione. Poi la svolta, il miraggio della libertà con i deboli che come sempre saranno costretti a cedere. E con la giustizia che ovviamente non potrà tener conto del passaggio dall'ostilità all'amicizia fra ostaggi e sequestratori.
Commedia agrodolce giocata sulle straordinarie abilità di Nino Manfredi nel passaggio fra grottesco e patetismo, "Spaghetti house" ha una struttura tipicamente teatrale e riprende un fatto di cronaca realmente accaduto. La dispensa di un ristorante diventa lo scenario in cui disperazione, rabbia e infine solidarietà si confondono per dimostrare che i fallimenti alla fine ci accomunano. Un palcoscenico ideale dove viene dato libero sfogo alle caratterizzazioni dei singoli personaggi: il sardo timido, il siciliano diffidente, il toscano nostalgico, il marchigiano litigioso. Dall'altro lato della barricata tre disgraziati con le armi in pugno, assediati dalla paura di sbagliare. Conseguente dimostrazione: la violenza non ha mai un colore, così come la libertà e il sacrosanto diritto al lavoro. Già otto anni prima Manfredi si era avventurato nella nobile causa della commedia sociale raccontando nel bellissimo "Pane e cioccolata" di Brusati il malessere dei lavoratori italiani all'estero. In "Spaghetti house" tutto è molto più semplificato anche se si individuano inquietanti riferimenti politici all'emarginazione dei "neri" e alla loro sconfitta sociale. Buona la prova d'attori, specie per quanto riguarda i ruoli marginali, mentre fra le prime fila si segnalano la grande misura di Manfredi appunto e dell'americano Rudolph Walker.
Dietro l'apparente facciata spensierata di una commedia leggera si celano aspetti angosciosi e claustrofobici; il bello dello schema collaudato (e vincente) della commedia all'italiana in definitiva è sempre stato questo: stemperare il buon umore con l'amarezza, i toni distratti con la riflessione.
Cinema Impero, Trani - Ottobre 1982 |