Si è fatto un gran parlare in questi giorni del film "La rabbia" di Pasolini, rimesso a nuovo e rimontato per l'occasione in linea con la restaurazione del cinema italiano fantasma. Lo stato d'animo inquieto del poeta non riuscirebbe comunque a sopportare l'offesa alla sua memoria, che si ritrova infatti infangata dalle logiche commerciali che hanno consentito un offensivo accostamento fra il suo "Decameron" e questo infimo e squallido sottoprodotto americano (anche vecchiotto, tra l'altro). La colpa è come sempre dei distributori che pur di smistare meglio una merce invendibile, giocano scorrettamente le proprie carte ingannando il pubblico. "Decameron pie" si aggancia al treno (più che mai fermo) delle farsacce giovanilistiche di dubbia fama di qualche anno fa. Ma il film a dispetto del titolo non ha proprio nulla a che vedere nè con i collegiali dal sovraccarico ormonale, nè con le triviali commediacce che seguivano a ruota.
Liberamente ispirato al testo di Giovanni Boccaccio (vilipeso sin dalle prime battute) il filmetto ne ripropone in realtà lontanamente solo la novella di Masetto, finto muto in un convento di suore assatanate dove la madre generale ha le sensuali fattezze della nostra Anna Galiena. Si sente parlare di una pestilenza in arrivo a Firenze e della fuga di una combriccola verso la campagna. In realtà invece il film pone al centro della storia l'amore impossibile fra un ragazzo e una ragazza di nobile rango, promessa sposa ad un triste e prepotente cavaliere che non si arrende. Senza capo nè coda, girato prevalentemente in esterni in Toscana e nel Lazio con una troupe mista (una coproduzione "italofrancoangloamericana" per farla breve) è un figlio di molti padri che non ha avuto felice destino. Nell'assurdo progetto che voleva intenzionalmente riproporre i fasti della commedia boccacesca ci ha creduto ciecamente addirittura un produttore esperto come Dino De Laurentiis. Ma ha dovuto fare i conti con un basso gradimento e il prodotto, non avendo avuto un'uscita ufficiale in sala, è finito immediatamente sugli scaffali delle videoteche. In Italia, si sa, non buttiamo via niente, ma certi prodotti andrebbero mandati al rogo d'ufficio all'istante. Del resto come potrebbe esserci credibilità in un brutto pastrocchio dove le ragioni alimentari di Tim Roth si mescolano con quelle di Elisabetta Canalis, che si denuda per una manciata di secondi nel ruolo di una giovane suora? Le scelte azzardate del regista non ci risparmiano l'utilizzo di orribili brani disco e tecno a commento musicale. Per la cronaca: i costumi (ci hanno tenuto a puntualizzarlo) sono addirittura di Roberto Cavalli. Ah bè, allora...
UCI Cinemas, Andria - 10 Settembre 2008 (Barisera) |