Nella sua lunga e fortunata carriera Pupi Avati ha avuto modo di rivalutare spesso i suoi attori, apportando benefiche e salutari trasformazioni, adeguandoli al suo magico cinematografare. Nel caso specifico di Silvio Orlando non si tratta di una rivalutazione ma di una autentica e straordinaria valorizzazione. Non a caso il bravo attore napoletano avanzando le sue braccia verso la coppa Volpi ha più volte confessato che quello del papà di Giovanna non è stato affatto per lui un ruolo complesso. Definito e focalizzato già in fase di scrittura, la recitazione è conseguita senza particolari affanni. Eppure a vederlo così questo intenso ruolo ricco di sfaccettature ci si accorge presto che mai come in questo caso il cinema italiano ha avuto l'opportunità di raccontare così nel dettaglio il difficile rapporto padri e figli. L'ultimo film di Avati è tenuto per mano dal suo protagonista. Che attraversa con tenerezza un percorso infernale verso il disagio della sua enorme responsabilità nel dramma familiare che lo colpisce improvvisamente durante un anno scolastico nella Bologna dell'era fascista. L'attore in pratica surclassa il contenuto del racconto. E così "Il papà di Giovanna" pur non essendo uno dei film di Avati più riusciti raggiunge il suo traguardo presentando, come raramente accade, una misura perfetta nella rispettiva prova d'attori dove Orlando spadroneggia in pieno diritto.
E' lui quell'ometto impacciato e provato da una vita difficile, marito fedele e ossequioso che non ha occhi se non per la sua unica e indifesa figlia minorenne. Giovanna (splendida Alba Rohrwacher) è infatti una ragazza difficile ed insicura, sgraziata nell'aspetto fisico e quindi a disagio nel mondo perfetto e chiuso della ricca provincia. Il padre cerca di spronarla e dargli fiducia ma sa anche di combattere una guerra personale contro nemici nell'ombra. E l'irreparabile accade quando per vendicare un'affronto sentimentale la ragazza uccide a colpi di rasoio la sua migliore amica. Interviene la polizia politica (la vittima è la nipote di un potente deputato fascista) e non c'è alcun modo di attenuare il forte impatto di questo delitto nei confronti dell'opinione pubblica. Il papà di Giovanna perde tutto: lavoro, affetti, stima e considerazione. Ma la cosa non lo preoccupa più di tanto. La sua unica ragione di vita ora è recuperare la fragilità di sua figlia, precipitata nell'inferno di un manicomio criminale.
Il film è praticamente diviso in due parti. Il tragico calvario giudiziario della ragazza e la fedele ricostruzione storica dell'ascesa e della caduta del fascismo a Bologna. Avati si preoccupa di potenziare con la stessa intensità i due rami della storia dando così un carattere frammentario e talvolta poco scorrevole al racconto. E' un difetto perdonabilissimo che non mette minimamente a repentaglio l'eclatante grandezza del traguardo raggiunto. A proposito di rivalutazioni il suo film si concede il lusso di presentare un'inedito Ezio Greggio in un ruolo tragico e avvalora l'intensità recitativa della giovane Alba Rohrwacher che, bisogna ammetterlo, avrebbe meritato maggiori riconoscimenti. Fotografia magistrale di Pasquale Rachini. Magica mediazione fra bianco e nero e colore. Un'immagine che ha i toni delle cartoline d'epoca sbiadite dal tempo. Tecnicamente perfetto, arriva dritto al cuore: si vede ad occhio nudo che è uno dei film che Avati ha sentito profondamente abbracciando la macchina da presa.
Cinema Opera, Barletta - 14 Settembre 2008
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