Hancock è un supereroe che sembra uscito dalla penna di Bukowski. Vive come un barbone sulle panchine di una Los Angeles irreale, ha la barba incolta e beve come una spugna. Ma all'occorrenza quando interviene sul suo “posto di lavoro” per i criminali sono dolori. Inoltre ha in dotazione l'arma segreta dell'ironia, un potere micidiale che ai cattivi manca e che strappa sempre l'ovazione della platea. Ma la vita privata del nostro supereroe è più anonima di quella dell'ultimo mortale; non ha amici, vive la sua condizione da emarginato e poiché combina un sacco di danni prima di entrare in azione, si è inimicato l'opinione pubblica che vorrebbe maggiore discrezione durante le sue operazioni di salvataggio. Per Hancock si profilano margini di miglioramento quando si imbatte casualmente nel dirigente Ray Embrey (Jason Reitman), un ottimista professionista nelle pubbliche relazioni che per sdebitarsi con chi gli ha salvato la vita si preoccupa di ripulirgli l'immagine. Dopo aver scontato in prigione la pena per il disturbo alla pubblica quiete, Hancock rinasce e accetta di radersi e indossare un'uniforme d'ordinanza. Ma non è finita: c'è qualcun altro della sua stessa specie (ossia con micidiali superpoteri) che non esce allo scoperto e che gestisce segretamente le sue stesse risorse...
Spacciato per un innocuo e spettacolare film d'azione, “Hancock” approfondisce un discorso che anni fa M.N.Shyamalan tentò di affrontare con l'incompiuto “Umbreakable” (2000) con Bruce Willis. Benchè le catastrofi e le incursioni del supereroe sui generis passino necessariamente per intrattenere i consumatori dei bicchieroni di pop-corn, si rinnova la solita problematica questione dell'alienazione provata sulla pelle di che per un'oscura ragione è diverso dagli altri. L'isolamento, l'antipatia e la volgarità del protagonista derivano da un disagio profondo: chiamato a salvare il mondo, Hancock attira su di sè soltanto intolleranza e ingratitudine e non può ribellarsi, perchè ha il sacrosanto dovere di portare a termine il suo lavoro. E di riflesso per lui gli eroi dei fumetti sono tutte carte perdenti. Ed è proprio per essere accettato che si piega al conformismo e alle regole di un professionista dell'apparenza, abituato a manomettere a piacimento il lato peggiore delle cose.
Will Smith si cimenta alla perfezione in un ruolo che riesce a mescolare argutamente l'azione alla "Men in black" con il suo nuovo percorso sentimentalpopolare mucciniano. La si potrebbe definire commedia fantastica, visto che il repertorio dei fantasy è manomesso volutamente alla radice. Ma proprio per questo motivo anche "Hancock" si rivela un prodotto ibrido e indefinibile che paga le assurde scelte dei distributori che lo hanno accorciato rendendo incomprensibili e affrettati alcuni passaggi narrativi. Perfettamente in parte i due interlocutori: la supergirl in incognito Charlize Theron (bella da fare male) e lo spaesato Jason Bateman che pretende di trasformare in "utopia" tutto quello che tocca. Una missione comunque il supereroe avvinazzato l'ha portata a termine: da qualche settimana è sul tetto degli incassi: se non altro ha movimentato le poltrone ancora impolverate dalle chiusure estive.
Cinema Opera, Barletta - 15 Settembre 2008 (Barisera) |