La rabbia di un giovane regista non è scatenata dalla crisi di idee, ma dalla disperata ricerca di finanziamenti per poter lavorare liberamente; sulla base di un pretesto di normale amministrazione quotidiana, perchè si rivolge purtroppo alla comune condizione psicologica attuale di molti giovani senza sicura occupazione, l'interessante cineasta torinese Louis Nero (laureato al Dams, classe 1976) descrive il disagio mentale di talenti che fanno fatica ad esprimersi. Lo fa con la rabbia in corpo ma con altrettanto mestiere, sottraendo il suo racconto alla linearità tradizionale, che è sempre stata la preoccupazione principale del cinema italiano di pronto consumo. Pur raccontando un tema attuale e, crediamo, molto vicino alla sua esperienza personale (visto che i film è costretto ad autofinanziarli), Louis Nero sceglie di percorrere una strada figurativa e concettuale che fa di questo prodotto un film anomalo, unico ed irripetibile nell'attuale panorama cinematografico nostrano e che merita solo per questo una legittima visibilità.
Il protagonista Nico Rogner è costretto ad aprire inutilmente le tante porte senza riuscire a portare a casa un risultato soddisfacente: un produttore commerciale propone tagli e ritagli sui personaggi di contorno giudicati superflui, un produttore hard acconsentirebbe a patto che i contenuti vengano espressi in chiave erotica e trasgressiva, un distributore rifiuta senza dare uno sguardo al copione perchè i film autoprodotti alla fine sono tutti uguali. Alla fine la soluzione ideale è frutto di un accumulo di disperazione: perchè non rapinare un istituto di credito e finanziare i film con i proventi del colpo facile? In fondo come sosteneva Brecht: “è più grave svaligiare una banca o fondarla?”.
Cinema d'ampio respiro creativo, sostenuto da uno straordinario gioco di luci e di ripresa, “La rabbia” si avvale di molte illustri partecipazioni speciali: dal “Mentore” interpretato splendidamente da Franco Nero che cerca di alleviare il disagio del cineasta, appagando la sua soddisfazione spulciando famelicamente i fotogrammi in una sequenza chiave del film. Si rivedono fra l'altro un'affascinante Faye Dunaway (nella felliniana sequenza dei ricordi), il grande Corin Redgrave e in autocelebrazioni alquanto malinconiche Arnoldo Foà, Giorgio Albertazzi, Tinto Brass e Lou Castel.
Franco Nero ha giustamente parlato di “dipinti in movimento”: è straordinario come in questa occasione cinema e pittura trovino un fenomenale punto di incontro nella resa cromatica. Alcune sequenze riproducono alla perfezione quadri fiamminghi, i riferimenti a Magritte si concretizzano in un'umanità globalizzata, raffigurata da uomini con la bombetta di Golconda tristemente uguali e Fellini si riscopre in citazioni oniriche (la sequenza d'apertura e i sogni ricorrenti), delizie per lo sguardo.
Un lavoro estremo, insomma, per un'opera coltissima che appartiene ad una realtà filmica che non si vedeva da tempo. E questo si che fa davvero rabbia.
UCI Cinemas, Molfetta - Marzo 2008 (Barisera) |