Parte la spiritosa e orecchiabile marcetta “Oronzo Canà” scritta per l'occasione da Amedeo Minghi (proprio lui) che commenta i titoli di testa animati e avvertiamo un primo tuffo al cuore. E' un emozione che non si può spiegare. C'erano alcuni devoti che aspettavano con trepidazione dal 1984 questo mitico ritorno (almeno un ventennio ci avevano tenuto lontano Banfi dal grande schermo) e la nostra non è affatto un'osservazione esagerata. Eravamo curiosi di sapere dove fosse finito quello stravagante allenatore di origine pugliese che con fare donchisciottesco all'ultima giornata di campionato portò la sua squadra alla salvezza e per oscure ragioni anche la sua onorata carriera a disoccupazione sicura. Ed infatti così è stato. Allontanato da un calcio soffocato da scommesse ed intrallazzi Oronzo Canà (L.Banfi), l'inventore della bizona e del modulo 5-5-5, passa le notti sognando d'essere il commissario tecnico uscente della nazionale italiana e di ostentare come il buon Lippi una chioma brizzolata e un sigaro toscano fra le labbra. In realtà deve accontentarsi di produrre olio d'oliva in un azienda agricola a gestione familiare dedicandosi al suo nipotino e di calcio non parla volentieri. Accade però che la Longobarda, mitica società di provincia, venga ammessa nella massima serie per le inadempienze di una società rivale e per Canà scatta un ingaggio forzato. Questa volta dovrà vedersela con la poco affidabile dirigenza rappresentata da misteriosi faccendieri sovietici e con una campagna acquisti da brividi. Unica risorsa in campo: il giapponesino Kikù che diventa dopo le prime giornate il capocannoniere degli autogol e comincia a far traballare la panchina a rischio dell'allenatore. Cominciano i soliti tormentati rapporti con i tifosi, il mercato di riparazione per opera di un procuratore truffaldino che gli rifila un concerto di Little Tony al posto dell'omonimo produttivo cannoniere e così via. Anche stavoltà Canà si giocherà tutto nello scontro salvezza finale: l'avversario? Ma la Marchigiana, naturalmente. Che per i seguaci del cinema di Sergio Martino è una compagine di vecchia conoscenza...
Non sappiamo fino a che punta sulla bilancia delle conclusioni faccia più pressione lo schiacciante peso della nostalgia o l'esiguo rendiconto pratico dei traguardi da raggiungere. Pur non meritando un posto di prima classe fra le commedie italiane più riuscite, “L'allenatore nel pallone 2” segue suo malgrado il triste destino dei seguiti che è quello di non poter garantire assolutamente fede all'originale (trappola in cui sono caduti puntalmente la mandrakata, eccezziunale veramente e il ritorno del monnezza). Del resto cambiano i tempi comici e di conseguenza anche il modo di girare (eloquenti sono i contrasti con i poetici inserti del film precedente). Per una questione di diritti e sponsorizzazioni non è stato possibile infatti entrare con le telecamere negli stadi per riprendere il calcio autentico. Per fortuna (non si sa fino a che punto) a questo intoppo si è posto rimedio con la lunga ma spesso invadente carellata di volti calcistici celebri che hanno devoluto in beneficenza il gettone di presenza. Ma il pallone giocato non la visibilità che merita. Sorprendono le amichevoli partecipazioni di Totti, Buffon, Amelia, Del Piero, Spalletti, Lotito e del grande senatore Carletto Mazzone che pur apparendo impacciato davanti alla macchina da presa ci regala un gustoso contributo. Anna Falchi a parte (una giornalista d'assalto), molti altri caratteristi (fra cui il redivivo Andrea Roncato) dato l'esubero di colleghi devono accontentarsi dei siparietti mentre fa piacere ritrovare in tribuna il mitico Aristoteles, calciatore che nella puntata precedente soffriva di nostalgia. Ma Sergio Martino è un navigato direttore d'orchestra e la sinfonia in definitiva ha scarse sbavature e trova garbati equilibri.
L'apporto “banfiota” è ai massimi livelli: il comico pugliese si riserva i momenti migliori, ma si avverte spesso lo spettro della malinconia con i toni sommessi di collaudata provenienza televisiva. La commozione si fa strada nel buonumore sporadico e alla fine, dati i tempi, bisogna riscoprirsi soddisfatti per opera di autoconvincimento. Molto più affascinanti sarebbero stati i racconti autentici legati alle imprese del leggendario Oronzo Pugliese da Turi, vulcanico allenatore cui il personaggio di Canà vuole ispirarsi. Un eroe del calcio antico, quello genuino, artefice di proverbiali performances dentro e fuori lo spogliatoio che arricchirono il taccuino di Banfi che ne ha fatto comunque nell'arco di tutti questi anni indubbiamente un onesto ed affettuoso ricordo.
Warner Village Cinemas, Casamassima - Gennaio 2008 (anteprima stampa, Barisera) |