"La nebbia agli irti colli", poetava il Carducci, immaginando che le avverse condizioni climatiche fossero il preludio ideale alla convivialità e al piacere di stare insieme, magari riuniti davanti ad un camino acceso. Non la pensa così dal basso del suo pessimismo l'americano Stephen King, di qualche secolo più giovane, che già nel 1976 aveva ben assimilato tutte le fobie e i traumi derivanti dagli effetti indesiderati della democrazia. Nel racconto "The mist" vedeva nella nebbia la potenziale minaccia oscura, in risposta alla tracotanza dell'uomo davanti al dominio del progresso. E' straordinario, ad ogni buon conto, l'immaginario proficuo in anticipo sui tempi di questo grande scrittore commerciale che ha giocato sulla pelle delle paure dei lettori ispirando praticamente tutte le categorie di cineasti (fra questi l'autorevole Kubrick di "Shining"). "The mist" fra l'altro è l'ennesima trasposizione letteraria realizzata dal fedelissimo Frank Darabont ("Il miglio verde") che rinnova praticamente un'abituale intesa perfetta fra scrittore e regista. Ma ci sono alcune cose che stavolta funzionano meno del solito e sarebbe il caso di segnalarle. Cosa si nasconde nella nebbia che avvolge una tranquilla cittadina del Maine? Se lo chiedono in molti, soprattutto i pochi cittadini che si sono rintanati all'interno di un supermercato, sorpresi dal misterioso fenomeno atmosferico nell'ora della spesa. C'è una sola certezza: là fuori la nebbia ti inghiotte, nel vero senso della parola. Chi si avventura emana urla lancinanti, seguite da un silenzio tombale, e sparisce nel vuoto. C'è effettivamente qualcosa di diabolico e di sovrumano che si annida nel biancore. I clienti asserragliati, dopo qualche ora di attesa spesa in religiosa speranza, cominciano a dare sfogo alle loro frustrazioni e, irrimediabilmente, a schierarsi in fazioni. C'è una predicatrice (M.G.Harden) che, Bibbia alla mano, comincia a profetizzare l'arrivo dell'apocalisse; ci sono altri che invece vengono puniti per il loro scetticismo e l'approccio sbagliato con la concretezza. Poi arrivano le prime risposte: strani insetti giganti prendono vita, disgustose falene di grandi proporzioni svolazzano intorno al market e si vocifera che gli strani eventi dipendano dai danni collaterali provocati da un'esercitazione militare. Qualsiasi tentativo di fuga viene punito con la morte. Non mancano gli aspiranti e coraggiosi ribelli che vogliono opporsi con tutte le forze al destino avverso. Ma si avvieranno in anticipo verso un drammatico ed irrimediabile massacro.
Dopo le buone premesse e un inizio suggestivo e spettacolare, "The mist" mostra i suoi cedimenti strutturali facendo pendere l'ago della bilancia sul piatto sanguinolento del cinema splatter. Insetti rivoltanti, bachi, ragnatele letali, effettacci di routine. Frank Darabont stesso, al quale manca la finezza e la discrezione di M.N.Shyamalan, ricorre all'horror classico con un accumulo di finali a sorpresa sostenuti a più riprese dagli effetti sonori e dal calcolo minuzioso dal salto sulla poltrona. Ma in merito avevano provveduto in passato già "The fog" di John Carpenter e l'orrendo "Silent hill". Il più delle volte si ha l'impressione di ritrovarsi al cospetto di una nuova versione di "Jurassic Park". Tutto questo non rende merito al racconto originale di King, molto più vicino a suggestioni accennate e alla paura infantile dell'ignoto e agli atti di ribellione di una madre natura offesa. Ridotto ad un estenuante e ripetitivo tunnel dell'orrore, "The mist" fa fatica a tener vivo l'entusiasmo. Anche se l'idea dei civili asserragliati in un locale a vetri si ripeterà anni dopo nel racconto "Camion" (la raccolta è "A volte ritornano"), dal quale King stesso ricaverà nel 1985 il suo primo e unico film da regista ("Maximum overdrive") raccontando il calvario di alcuni avventori di un autogrill bloccati dai caroselli di camion impazziti. Al di sotto degli standard la recitazione, in piatto stile televisivo, di attori poco conosciuti fra i quali si rivede con piacere la deliziosa Marcia Gay Harden nei panni di una esaltata e logorroica Cassandra. Ma manca l'ingrediente principale preferito da zio Stephen, cioè l'ironia. Tutto resta avvolto dal manto grigio della tristezza e della noia. In ogni caso trova ulteriore conferma un concetto ben chiaro: Stephen King è l'ultima persona al mondo al quale chiederemmo di raccontarci la favola della buona notte.
UCI Cinemas, Molfetta - 16 Ottobre 2008 |