Ci vuole stile anche per realizzare una parodia. Il genere nello specifico è recentemente condizionato da una svalutazione dovuta all'insopportabile incremento di filmetti rabberciati, spesso in condizioni pessime, che sbarcano in sala col proposito di fare guadagni facili, smerciando risate di basso livello. Gli appassionati cadono inevitabilmente nella trappola e non ci fanno più caso. Ma tanti anni fa si faceva sul serio la fila per vedere un film di Mel Brooks come "History of the world part I" o della premiata ditta Abrahams & Zucker ("Airplane!"). Ed erano risate assicurate e investimenti che puntavano sull'intelligenza. Oggi assistiamo impassibili ad un inesorabile e spiacevole decadimento del concetto stesso di "intrattenimento" che si accompagna, con frequenza assidua, alla trivialità di bassa lega. "Tropic thunder" di Ben Stiller è una rara eccezione che già nelle premesse tende a prendere le dovute distanze dai sottoprodotti abituali. Stiller del resto oltre ad essere un artista è anche un buon autore e più volte in passato (vedi "Zoolander", feroce satira sulla moda) si era già cimentato con il cinema demenziale. Questa volta però la collaborazione con Ethan Coen sortisce gli stessi effetti di una micidiale detonazione. "Tropic thunder", cinica e folle parodia dei film di guerra, va oltre il gusto facile per il richiamo e la citazione, oltrepassa cioè di gran lunga la barriera che consente solitamente a questi film leggeri di vivacchiare limitandosi al rifacimento di sequenze celebri. Il film di Stiller è infatti un'operazione surreale di cinema nel cinema, una sorta di "Effetto notte" in suolo vietnamita con attori mandati allo sbaraglio da costi megagalattici di produzione, attanagliati dal dispendio di mezzi, rovinati dal divismo e dagli agenti. Cinque attori protagonisti sono alle prese con problemi di lavorazione sul set faraonico di un film ispirato ai racconti di guerra di un veterano. Il tecnico degli effetti speciali ad esempio è un esaltato che nella foga brucia in un minuto quattro milioni di dollari di esplosivo a cineprese spente; il protagonista del film è afflitto da una sindrome depressiva, i suoi compagni fanno uso e abuso di droghe. Logica e immancabile la ramanzina via webcam di un produttore megalomane (un irriconoscibile Tom Cruise grasso e calvo) che dalla stanza dei bottoni esorta la truppa a darsi una mossa. Per ragioni di copione i cinque attori finiscono catapultati in una vera e propria zona di guerra, pattugliata da guerriglieri narcotrafficanti. Il bello è che tutti pensano che siano comparse assoldate dalla produzione per le riprese del film. Facile immaginare gli effetti collaterali provocati da questo terribile equivoco. Realtà e finzione si mescoleranno irrimediabilmente con conseguenze catastrofiche per tutti...
Ben Stiller gioca con i soldatini in un film pazzo e fracassone dove si perde letteralmente il senso della misura; fra eccessi, esplosioni e scene acrobatiche da capogiro, il film scaglia dardi potentissimi a danno dell'industria cinematografica fagocitata da produttori senza scrupoli, rappresentata da attori cocainomani e senza un briciolo di professionalità. Il ricco cast nasconde e svela sorprese incredibili: da un irresistibile Tom Cruise a briglie sciolte, passando per un ritrovato Nick Nolte nei panni di un eroe impostore. Si gioca col cinema e con i suoi meccanismi: il film è anticipato da una lunga serie di trailer assurdi e spot improbabili non molto diversi da quelli che vengono propinati sui network. I compagni di giochi si divertono un mondo a sbeffeggiare il pubblico: il grasso e flatulento Jeff Black, un inedito Robert Downey Jr. truccato come un divo stile "black power" degli anni Settanta, l'odioso procuratore Matthew McConaughey. C'è materiale sufficiente per una serata diversa delle altre anche se si fatica a star dietro ad un così frastornante accumulo di gags visive, per il quale a visione conclusa è consigliabile l'assunzione di un analgesico.