Mario (Franco Nero) è una specie di mago misterioso che nei primi anni '90, che seguirono la caduta del muro di Berlino e l'apertura dei paesi dell'Est al nuovo miracolo economico, porta a domicilio la grande illusione di un cambiamento. E' un galantuomo dall'aspetto ambiguo e tenebroso, ma se non sorride mai ci deve essere per forza una ragione. Ha assimilato infatti l'amarezza di chi non crede al potere della sua bacchetta magica spezzata: la felicità portata con i soldi nella valigia, utili alla retribuzione di una manodopera sottopagata, si risolve infatti in un incantesimo effimero. Siamo in una piccola e tranquilla frazione di campagna nel cuore dell'Ungheria. Dall'autoradio di un'Alfa Romeo fiammante partono orecchiabili melodie italiane. Attratti dal pifferaio magico i poveri membri della comunità accorrono numerosi, nella speranza che dall'Italia oltre ai sorrisi e agli stornelli arrivi finalmente un pò di onesto lavoro. Gerardo (V.Marsiglia), il funzionario allegro e convincente assoldato dal suo imprenditore, porta regali e simpatia ma pretende sacrifici e doveri. E il capitalismo mette radici sotto gli occhi di tutti, stravolgendo le abitudini e contaminando quella genuinità atavica, unica risorsa di chi potrebbe accontentarsi di quel poco che ha. Le donne del villaggio passano dalle mansioni domestiche ai ritmi forzati della catena di montaggio, mettendo a nudo una femminilità repressa dal torpore e dall'assoggettamento. Un capannone diventa la sede di una fabbrichetta artigianale di calzature e vengono distribuiti i primi gradi di una nuova gerarchia. Vera (Nyako Julia), la donna più intraprendente della città, brucia le tappe e diventa una scrupolosa caporeparto; il buon senso dell'uguaglianza viene sconvolto dalla regola più spietata del manuale del capitalismo: la sopraffazione. Ma è proprio l'intraprendente ed energica "caporale" a farne le spese illudendosi nella possibilità di trovare proprio con il misterioso mago il presupposto per una duratura felicità sentimentale. Finale tragico e inquietante...
Da qualche anno a questa parte il Franco Nero attore, che ha avuto la fortuna e il grande merito d'essere uno dei pochi italiani ad aver frequentato quasi tutto il cinema nobile internazionale (Fassbinder, Benhadj, Hamilton, Harlin, Bondharchuk solo per citarne alcuni), deve aver ben compreso il nesso sempre più stretto fra una pellicola di qualità e la sua implicita sottrazione al grande circuito commerciale. Proprio per questa indipendenza necessaria, l'attore è intervenuto anche questa volta nella produzione di un suo lungometraggio. Ciò che più risalta in un piccolo ed onesto film come "Mario, il mago" è infatti la sua stupefacente manifattura artigianale. Un film girato in un evidente stato emozionale che riesce attraverso una semplicità di mezzi a far ritrovare allo spettatore il sapore di sentimenti autentici. Il film si avvale di una fotografia sorprendente (Gyorgy Beck) che riesce a filtrare con innegabile mestiere il suggestivo paesaggio agreste ungherese (Abaujvaàr), attraverso vere e proprie inquadrature pittoriche. Oltre ad avvalersi di buoni requisiti tecnici, penalizzati (ma è un perdonabile incidente di percorso) da un doppiaggio un pò freddo e distaccato, il film si stringe intorno alla forza del suo racconto: è un piacevole ed originalissimo ritratto tutto al femminile, che abbraccia con forza il suo perno narrativo. In questo caso il merito va attribuito alla strepitosa attrice ungherese Julia Nyakò (forse la vera magia del film) abilissima, attraverso una recitazione asciutta ed insolita (che non disdegna il trasformismo), nel sottolineare il ritratto spiazzante di una donna passionale, sconvolta dalla superficialità e dalla mancanza di umanità di un capitalismo alle porte. Il film oltre ad offrire un impietoso ritratto di un amore illusorio, cerca una morale conclusiva mostrando i disagi e le ferite inferte dalla globalizzazione. Dietro la macchina da presa c'è Almasi Tamas, un pluripremiato documentarista, capace di cogliere al volo lo sconvolgimento della sua terra in un particolare momento storico. E l'evidente apporto entusiastico di caratteristi e attori minori, degni rappresentanti di un'inedita Europa cinematografica che farebbe molto meglio a restare più unita se vuole davvero ritrovare la sua identità culturale.
UCI Cinemas, Molfetta - 6 Dicembre 2008 (Barisera) |