Per 57 lunghissimi anni se l'erano dimenticati in soffitta, o più semplicemente nessuno aveva avvertito la necessità di rimaneggiarlo. Poi la crisi di idee, gli sceneggiatori in calante fase creativa e un mucchio di altre buone ragioni hanno dato l'impennata fatale all'iniziativa. In effetti il remake di un sbalorditivo e spiazzante (per l'epoca) film americano diretto da Robert Wise nel 1951 giunge alquanto tardivamente, se non altro per quanto riguarda la credibilità del vecchio messaggio di pace. Rivedendo il vecchio film in bianco e nero in una mitica sequenza una signora di mezza età, commentando le origini del marziano, si esprimeva in modo sibillino: "l'uomo astrale (!) non viene da un altro pianeta, sappiamo bene la sua provenienza", alludendo apertamente al nemico sovietico. Nel recente rifacimento di Derrickson più che essere attratti dalla targa dell'astronave sferica, gli esseri umani sono allarmati dall'impossibilità di controbattere la strategia di un nemico oscuro. Perchè queste sfere incandescenti cadute sul nostro pianeta a velocità supersonica, fanno davvero paura nella loro apparente staticità? Perchè il mondo che viaggia a vele spiegate adagiandosi sul soffio del progresso, dovrebbe preoccuparsi solo ora di un gigante di ferro che lancia occhiate fatali? La chiave d'interpretazione fra un film è l'altro sta praticamente tutta qui. Nel film in bianco e nero l'ultimatum veniva lanciato dagli abitanti di altri pianeti perchè preoccupati dai popoli in lotta sulla terra, qui la pace nel mondo è diventata una questione secondaria che segue a ruota il forte allarme ecologico. Il passo è breve: stavolta i marziani si inventano un'arca per salvare le specie in estinzione e preservare i destini del nostro pianeta. L'ultimatum stavolta non è più nel loro interesse, ma esclusivamente nel nostro. Punto in comune fra le due circostanze: sempre, e comunque, il libero arbitrio dei comuni mortali cui è diretto anche stavolta "il discorso alle nazioni".
Chissà con quali occhi ci sta guardando dall'alto il vecchio autore Harry Bates che nel suo romanzo che ispirò il primo film (ed era il 1940) delegava sconsolatamente agli alieni il compito di risvegliare le responsabilità d'una umanità atrofizzata da conflitti interni e tempo sprecato. Cosa scriverebbe oggi che il discorso morale ha assunto una sproporzione pari soltanto alla nostra demenza? Il discorso protoecologista di questa nuova versione cerca di smuovere le coscienze attraverso un messaggio diretto, privo di retorica, che fa impallidire il vecchio candore di Robert Wise che si illudeva che la pace con i Russi fosse la soluzione di tutti i problemi. Nel nuovo ultimatum un enigmatico Keanu Reeves replica freddamente alla portavoce del presidente degli Stati Uniti: "vostro? siete sicuri che questo sia davvero il vostro pianeta?", lanciando un disperato grido nel vuoto. Il recente lavoro di Scott Derrickson è molto più vicino al dramma fantascientifico intimista che alla spettacolarità di un blockbuster. Per questo motivo "Ultimatum alla terra" deluderà le aspettative degli appassionati del genere catastrofico. Gli alieni fanno pochi danni e, tra l'altro, sembrano avere la decenza di ripulire i cocci. Un bravissimo Keanu Reeves che ha preso a cuore il personaggio reso memorabile dall'attore inglese Michael Rennie è perfetto nei panni del marziano buono venuto a salvarci. Ma la giostra a volte si blocca, la sceneggiatura si attorciglia dando per scontato alcuni passaggi. Il film non ha la stessa innocenza del suo precursore; la magia del digitale ha annientato la naturalezza. Però, come l'anziano progenitore, non si può fare a meno di condividere la funzionalità vistosamente educativa di un piccolo, dignitoso e sconcertante anatema.
UCI Cinemas, Molfetta - 12 Dicembre 2008 |