"La rabbia", film "in due parti", come sottolineavano accuratamente i titoli iniziali è a suo modo un'operazione che non ha nè precedenti e nè seguiti nella breve storia del film di montaggio nel cinema italiano. Un tentativo che fu bissato a breve distanza dal reportage "Cà ira - il fiume della rivolta", realizzato da Tinto Brass sulla base di filmati provenienti dalla Cinemateque Francoise. All'inizio del 1963 un produttore indipendente, Gastone Ferranti, commissionò a Pier Paolo Pasolini un progetto insolito: realizzare un lungometraggio senza girare nemmeno un fotogramma ma rielaborando nel suo stile tutti i cinegiornali di natura politica provenienti dalla serie "Mondo libero", amalgamandoli con filmati provenienti da archivi sovietici, inglesi e cecoslovacchi e seguendo un preciso filo narrativo. Dopo aver visionato accuratamente il mostruoso patrimonio cinematografico che gli era stato messo a disposizione, il poeta reduce dal successo di "Accattone" e "Mamma Roma" che stava ultimando il montaggio dell'episodio "La ricotta" (che lo avrebbe sottoposto a ben altre problematiche), compose lunghi e appassionati versi che avrebbero dovuto commentare insieme al sottofondo musicale le immagini del documentario, onorando il suo compito. Temendo di avere fra le mani una micidiale bomba ad orologeria con detonazione filo-marxista Ferranti optò all'improvviso per un repentino cambiamento di rotta: convocare un intellettuale di opposta fazione, dividere strutturalmente il film di montaggio in due parti e abbinarlo al lavoro di Pasolini (che di riflesso perdeva una buona metà del suo film). Un pensiero animato dalla necessità di affrontare la stessa questione (il mondo sconvolto dalla scontentezza, dal disagio e dalla paura della guerra) sia da destra che da sinistra. La scelta ricadde sullo scrittore emiliano Giovannino Guareschi che aveva il compito di controbattere l'offensiva poetica del suo precedente interlocutore con un segmento che, a detta di qualcuno, resta ad oggi "l'unico esempio di diretta propaganda cinematografica anticomunista fatta in Italia". L'imposizione di Guareschi causò notevoli problemi: assistendo di fatto al brusco ridimensionamento del progetto iniziale, il poeta friulano arrivò a giudicare "inaccettabile" e sgradito questo inatteso sodalizio professionale. I due registi per contratto avevano stabilito di non frequentarsi, benchè lavorassero in moviola a pochi metri di distanza, e di comunicare se necessario solo attraverso un freddo rapporto epistolare (che infatti si rivelò velenoso attraverso memorabili e micidiali lettere aperte). Per ovvie ragioni pubblicitarie il produttore pensò bene di gettare benzina sul fuoco costruendo a regola d'arte un mediatico odio professionale e intellettuale fra i due co-registi a disagio. "La rabbia" uscì nelle sale nella primavera del 1963 in due sale capozona ma dopo tre giorni di programmazione viene smontato, fatto sparire con la promessa di una successiva rielaborazione. Ancora oggi ci si chiede se la scelta dei distributori fu dovuta ad una strategia commerciale o ad una censura idelogica che di fatto appariva discutibile. L'antologia non era di parte, offrendo in tutta onestà i due rovesci della medaglia.
"La rabbia" è un lavoro balzato agli onori della cronaca per i suoi antefatti e la sua travagliata lavorazione, più che per la sua valenza cinematografica. Troppo scomodo e impensabile per l'epoca, sfuggiva di riflesso a qualsiasi necessità commerciale: era un film troppo politicizzato che, in ogni caso, anticipava la moda dei reportage che sarebbe esplosa, ma per ragioni più effimere, qualche anno dopo. Due intellettuali estremi si esprimevano con tutto il loro livore attraverso voci fuori campo (Bassani e Guttuso, rispettivamente in poesia e in prosa, al servizio di Pasolini rappresentavano una scelta rivoluzionaria), commentando decenni di mostruosità avvenute nel mondo, spesso ricorrendo all'impiego di immagini d'insolita violenza. Dall'assassinio di Lumumba all'attacco israeliano in Egitto, dalla nuova dittatura cubana alla morte di Marylin Monroe, passando per i funerali di Pio XII e l'elezione di Giovanni XIII. Ma c'era dell'altro: il sottile attacco antiamericano da parte di Guareschi presagiva con terrore l'inatteso sviluppo della Cina. E giù con sferzate razziste, battute ironiche sull'argomento che passarono per propaganda proto-fascista, quando invece l'autore aveva speso il suo talento per anni di campagna elettorale democristiana. E' un tentativo importante per il suo stile, per il repertorio visivo di un mondo lontano che già all'epoca lanciava profetiche avvisaglie e consistenti minacce. Ma è soprattutto un costruttivo e memorabile duello giostrato sul territorio del linguaggio. Pur lontani politicamente e intellettualmente i due nemici in moviola sottintendono in alcuni punti un giudizio comune. Permane (e si nota) una vigorosa onestà nel dibattito, toni ordinati e pacati nonostante il fervore apparente. Il frammento di Pasolini, molto più legato alla poetica, mostra innegabilmente gli effetti collaterali di una successiva mutilazione. Quello di Guareschi gioca con le armi affilate dell'ironia e di una certa italica saggezza provinciale (dove respira l'anima del vignettista): più diretto, poco propenso alla diplomazia, molto sanguigno e beffardo. Un messaggio comunque carico di speranza e di fede, nonostante il grigiore e la tristezza della propaganda.
DVD - 21 Dicembre 2008 |