Tassello conclusivo della "trilogia della vita", ma anche preludio inatteso allo sconvolgente testamento di "Salò", "Il fiore delle mille e una notte" è un'opera di rara bellezza e di strepitosa ispirazione poetica. Denota un magico incremento di lirismo, a differenza dell'ambientazione libertina e furfantesca del "Decameron" e de "I racconti di Canterbury". Il fascino che le novelle orientali esercitarono sul poeta si realizzano attraverso l'idilliaca e perfetta ricostruzione scenica che riesce a restituire il suggestivo clima favolistico di "sangue e facce povere". Siamo fin troppo lontani dal libertinaggio boccaccesco legato al mondo contadino: come già in "Edipo re" anche nel "fiore" si torna a parlare di sovrani, principi e pergamene e in un contesto orientaleggiante spica l'espressività spontanea di attori presi dalla strada che amplificano la poetica pasoliniana nel suo più completo e realizzato fervore.
Premiato a Cannes nel 1974 "Il fiore delle mille e una notte" sotto l'aspetto tecnico è il più riuscito della trilogia: la fotografia di Giuseppe Ruzzolini semplifica al massimo il rapporto fra realtà e favola; i commenti musicali con l'arpa di Ennio Morricone suggeriscono dolcezza ed armonia. Siamo in Oriente: la schiava Zumurrud (Ines Pellegrini) rifiuta tutti i suoi acquirenti e accetta di essere venduta soltanto al giovane Nur-ed-Din (Franco Merli). I due ragazzi fantasticano sogni d'amore ma la la bella Zumurrud tesse per lui una tela che, per nessuna ragione al mondo, il suo padroncino dovrà vendere mai ad un tizio con gli occhi azzurri, cosa che puntualmente accade. Ma prima di essere rapita la schiava gli racconta la storia di Harum e Zeudi, due saggi, che addormentano due giovani per stabilire chi dei due si innamorerà per primo dell'altro. La scommessa non viene vinta da nessuno dei due: la forma dell'amore li farà innamorare entrambi nello stesso momento. Rapita dall'invididuo dagli occhi azzuri Zumurrud finisce imprigionata nel campo dei quaranta ladroni, da dove riuscirà a fuggire per raggiungere un regno vicino dove conquisterà il trono per volontà degli dei. Nel frattempo Nur-ed-Din continua la sua fuga e ha modo di ascoltare la triste storia di Aziz (Ninetto Davoli), giovane promesso sposo, che diserta le nozze perchè innamoratosi di una bella sconosciuta. Chiederà aiuto alla sua infelice promessa sposa per riuscire a comunicare con la misteriosa ragazza. Per circostanze oscure la sua promessa morirà di dolore e lui sarà punito con l'evirazione. In un meccanismo a intarsio si inserisce la storia del principe Tagi, innamorato della bella Dunya, che incarica due ragazzi di aiutarlo nel restauro della torre del suo giardino. I due raccontano a loro volta le loro storie: Shahzaman, figlio di un re, dopo essersi salvato dall'eccidio dei predoni si rifugia in un sotterraneo dove incontra una ragazza fatta prigioniera da un demone. Dopo averla posseduta e aver scatenato la gelosia del suo carceriere, Shahzaman assiste con impotenza all'uccisione della sua innamorata e viene trasportato dal demone in un deserto e trasformato in scimmia. Grazie al sacrificio di una principessa il giovane principe riacquisterà le sue fattezze umane. Yunan, anch'egli figlio di re, per conoscere le isole possedute dal padre fece naufragio su un'isola maledetta, dimora del cavaliere di rame. Dopo essere riuscito a distruggerlo e dopo essersi rifugiato su una spiaggia, fu sottoposto al triste destino di una profezia che lo volle carnefice di un innocente ragazzino. Le favole terminano in occasione del completamento del mosaico: la bella Dunya di innamora del principe Tagi e Nur-ed-Din dopo mille peripezie ritroverà la sua schiava. "Che notte! Dio non ne ha creato di eguali! Il suo inizio fu amaro, ma come è dolce la sua fine!".
Pasolini stesso ha affermato che la struttura particolare del montaggio del "fiore" è dovuta al misticismo voluto proprio nell'articolazione delle varie favole. Non avendo una precisa collocazione temporale le storie si incastrano seguendo lo schema della storia nella storia, del racconto nel racconto secondo il criterio delle "scatole cinesi". Attori non professionisti doppiati con un irreale accento salentino e meridionale. Bravissime le reclute: il solare Ninetto Davoli è lo sfortunato Aziz, Franco Citti con parrucca rosso fiamma un demone spietato. Il poeta è riuscito a dirigere un film di delicato impatto emotivo: la suggestiva ambientazione yemenita è ben amalgamata con i meravigliosi costumi di Danilo Donati. Nell'insieme è un'opera serena, priva di stimoli anarchici, con una disinibita (ma elegante) rappresentazione del sesso: con teneri giochi nell'acqua e le amenità favolistiche del magico mondo delle mille e una notte.
VHS - Giugno 1989 |