Una giornata particolare dell’estate 1968. Nell’Hotel Ambassador di Los Angeles le esistenze di svariati personaggi si intrecciano sullo stesso scenario: l’arrivo del senatore Robert Kennedy, futuro candidato alla presidenza, che dopo la conferenza stampa dovrà seguire in diretta i risultati delle primarie in California. Su “Bobby” le nuove generazioni americane ripongono i propri sogni avviliti dall’irrisolto conflitto in Vietnam che sta mettendo in ginocchio il paese. A questo si aggiungono le questioni interrazziali che turbano le minoranze rendendo difficile l’integrazione e la convivenza fra gli immigrati. Nell’hotel c’è molta agitazione e la si avverte: la direzione ha intensificato i sistemi di sicurezza per prepararsi all’evento e nei piani bassi delle cucine lo staff del servizio è impegnato nell’allestimento del lussuoso rinfresco. Un malaugurato ammutinamento sembra pregiudicare il buon esito del programma: il capo della cucina (C.Slater) razzista ed incivile viene licenziato per aver impedito il diritto di voto di alcuni dipendenti extracomunitari.
Seguiamo poi da vicino le piccole storie che si avvicendano consentendoci di conoscere da vicino i personaggi: c’è una parrucchiera (Sharon Stone, irriconoscibile) che è sposata con un direttore d’albergo fedifrago (W.Macy) e cerca di ricucire invano il suo rapporto coniugale; una giovane idealista (L.Lohan) che accetta di sposare un coetaneo (Elijah Wood) per evitargli la partenza forzata per il Vietnam; un nostalgico ex-dipendente dell‘albergo (A.Hopkins) che rievoca i fasti passati della struttura mentre gioca a scacchi con un collega; una cantante alcolizzata e ribelle (D.Moore) che esaspera continuamente il suo rassegnato compagno (E.Estevez); un cameriere messicano che non può andare a vedere la partita allo stadio ma si renderà artefice di un grande gesto; un capo cuoco (L.Fishburne) stimatissimo che si diverte a stuzzicare i suoi colleghi dispensando elogi.
Si arriva poi tragicamente alla fine di quella giornata particolare: è il 4 giugno e il senatore Kennedy ha appena concluso il suo discorso. Un terrorista di origine palestinese impugna una pistola, fa fuoco mischiandosi alla folla e lo colpisce a distanza ravvicinata. Bobby si accascia crivellato dai colpi e con lui cadono molti feriti coinvolti accidentalmente nella sparatoria. Non ci sarà nulla da fare: il senatore morirà in ospedale all’alba del 6 giugno del 1968. Sconosciute restano ad oggi le cause di questo massacro (sul cui complotto come per l’assassinio del fratello John F. a Dallas del ‘63 sono state aperte inchieste senza soluzione), ma i nemici di Kennedy erano ben nascosti. L’eccidio di Bobby si tradusse nella scomparsa di una grande figura umana e nel conseguente tramonto dei sogni di una nazione. Le elezioni presidenziali furono poi vinte da Nixon (che con la morte di Kennedy perse sicuramente un temibile avversario) che rimase in carica fino allo scandalo Watergate del 1974. “Hanno creato un deserto e lo chiamano pace”. Il tramonto forzato del potere idealista di un grande leader che l’America amò con tutta la sua forza, sognando di uscire dalla tragica esperienza in Vietnam, viene ricordato da Emilio Estevez attraverso un corretto e straordinario affresco corale. Estevez adotta un metodo alla Robert Altman raccogliendo all’interno di un edificio-chiave le dieci microstorie relative a fatti presunti, reali o addirittura inventati, creando così una concatenazione ad incastro fra gli episodi narrati. Il film così strutturato avvince ed entusiasma e le due ore scorrono piacevolmente tutte d’un fiato. Straordinaria appare la scelta di Estevez di servirsi in apertura e in chiusura dei discorsi autentici del senatore Bob Kennedy: l’elogio funebre in occasione della morte di Martin Luther King, il discorso alla nazione, lo struggente monologo sulla piaga della violenza nella società americana.
Non c’è alcun attore ad impersonare la carismatica figura di Bobby: tutto è affidato come si è detto alle autentiche immagini di repertorio, il che arricchisce l‘operazione con un taglio da reportage documentaristico. La ricostruzione scenica è stata poi realizzata all’interno degli ambienti dell’autentico Ambassador Hotel poco prima della sua demolizione il che sottrae le locations agli artifici irreali degli studios rendendo il tutto più verosimile.
Un lavoro non facile ma svolto con impeccabile concretezza rivelando in Estevez (autore di precedenti pellicole poco rilevanti) le doti di cineasta impegnato, dallo stile fervido e lineare. Al quale spetta poi l’arduo compito di amministrare il contributo di dieci protagonisti di prim’ordine, su cui è superfluo soffermarsi individualmente (in alcuni casi si tratta di partecipazioni marginali). Sharon Stone tuttavia, appesantita volutamente da un trucco insolito, ci regala una grande prova così come la rediviva Demi Moore nei panni di una volgare artista sul viale del tramonto. La affiancano in adeguato stato di grazia Anthony Hopkins, Laurence Fishburne e William H.Macy. Sullo sfondo le manifestazioni pacifiste, gli slogan delle armate sessantottine e la musica che avrebbe nutrito queste radici: memorabile nel vasto repertorio il brano “The sound of silence” di Simon & Garfunkel. E così anche Mrs.Robinson si ritrova a piangere la morte di un eroe.
Cinema Paolillo, Barletta - Marzo 2007 (Barisera) |