Nasce un nuovo genere, il thriller sociologico, che avanza a fatica con tutti i sensi di colpa derivanti da un voluto o inconsapevole sciacallaggio. “Bordertown” (città di confine) racconta fatti che secondo le didascalie sono autentici e non del tutto risolti che stanno mettendo in ginocchio la dignità e le basi della vita civile nel nuovo Messico. Ci troviamo infatti a Juarez, cittadina non proprio ridente, dove si respira l’aria pesante della g-lobalizzazione e si muore per un niente. Gli omicidi e le sparizioni di donne operaie, sottopagate con cinque dollari al giorno nelle fabbriche a ciclo continuo (maquilladoras) senza diritti alcuni né la protezione dei sindacati, sono all’ordine del giorno. I dati ufficiali non dicono la verità e le autorità competenti cercano di sminuire la questione per non avere grane politiche che possano in qualche modo intralciare i guadagni cospicui derivanti da queste redditizie macchine da soldi. Lauren (Jennifer Lopez), brillante giornalista americana del Chicago Sentinel, viene inviata sul posto per condurre un’inchiesta scottante su questa inspiegabile lunga serie di omicidi che la polizia attribuisce frettolosamente ad un serial killer islamico.
Con l’aiuto di una povera ragazza che fingendosi morta è riuscita miracolosamente a sopravvivere alle atroci barbarie dei suoi aguzzini ed è in grado quindi di inchiodare i suoi aggressori, l’esperta Lauren cerca di ricostruire il filo comune di questa catena di crimini. L’impresa non è delle più facili perché la stampa locale è vittima di intimidazioni e il pesantissimo clima di omertà cela nemici con i colletti bianchi e muri di gomma inespugnabili. Dietro tutto il sistema si nasconde come al solito un invisibile nemico fantasma con corazza politica. Far valere la sacrosanta giustizia sarà un compito arduo che passerà purtroppo attraverso il supplizio di numerosi cadaveri.
Si parlava prima di thriller sociologico perché “Bordertown” a differenza di molti altri film di genere racconta fatti veri con falsi espedienti da fiction. Lo sciacallaggio cui facevamo riferimento scaturisce di riflesso: ammesso che si stia facendo cronaca e quindi informazione (le premesse sono quelle di un film inchiesta) che bisogno c’è di farlo adottando i mezzi e gli artifici tipici dei racconti di fantasia? Interessante nella sua prima parte, quella cioè dove si racconta la raccapricciante realtà sociale di una colonia statunitense violentata nei suoi diritti umani in nome del profitto (quella delle maquilladoras è una piaga sociale così come l’espatrio clandestino dei cittadini messicani), la pellicola si accartoccia su se stessa quando cerca di dare un risvolto spettacolare agli eventi della narrazione.
Diventa pertanto involontariamente risibile la missione speciale della affascinante protagonista che pur di inchiodare i colpevoli si infiltra come operaia a suo rischio e pericolo, quasi fosse in un poliziesco qualunque. Così come una lunga serie di incertezze, buchi narrativi che rendono “Bordertown” un ordinario thriller di routine. Senza infamia e senza lode gli apporti delle due calienti star latine che si limitano almeno ad evitare una love story di circostanza. Si rivede Sonia Braga e in un intermezzo appiccicato per caso compare l’idolo musicale colombiano Juanes, quello del tormentone “camisa negra”. Se qualcuno ci comunicasse il nesso logico di una partecipazione amichevole degna di un musicarello
in tale contesto serioso gliene saremmo grati. Due sono le alternative: o è promozione discografica o semplice marketta.
Cinema Opera, Barletta - Marzo 2007 (Barisera) |