Otto donne sedute attorno ad un tavolo da gioco, riunite rispettivamente in quartetto ma separate da un vistoso salto generazionale di tre decadi: dai coloratissimi e spensierati anni '60 all'inquietudine e al funereo sconforto dei brutti e tristi anni '90. Due partite diverse, ma con lo stesso comune denominatore: la femminilità vista nelle sue contraddizioni, nei suoi malumori e nelle poche gioie della vita quotidiana. Gli uomini si nascondono, non possiamo vederli: coperti dai loro difetti e dalle debolezze non hanno il coraggio di venir fuori. Li immaginiamo comunque, attraverso i "racconti di donne", mentre se ne stanno tutti uguali in disparte con le loro ossessioni, le prepotenze e debolezze che, a confronto, assumono un peso esponenziale. Diviso sostanzialmente in due parti il film di Enzo Monteleone è un sopralluogo sul pianeta donna in un'Italia che trascurando le scorciatoie della rivoluzione culturale non è riuscita a cambiare nemmeno per miracolo, illudendosi di aver sfiorato l'emancipazione. Nei felici anni d'oro dei vestiti a pois, delle acconciature vistose e delle canzonette alla radio le quattro donne sono Margherita Buy, Marina Massironi, Paola Cortellesi e Isabella Ferrari: la risoluta, la svampita, la decisa, la fragile. Quattro modi di diversi di esprimere la femminilità attraverso i conflitti che esplodono inevitabilmente con il pretesto di una partita a carte. Isabella aspetta un bambino ed è spaventata all'idea di diventare madre; le sue amiche del resto non hanno argomenti per incoraggiarla, giacchè devono confrontarsi con situazioni matrimoniali non proprio idilliache. I battibecchi proseguono mettendo a nudo paure e insicurezze ma anche tradimenti, dispiaceri e un opprimente senso di depressione. Si discute, si litiga, si fa pace: poi cala il sipario su un'apparente stagione felice dove l'essere donna è sinonimo di una vita ai margini. Dopo molti anni nel medesimo appartamento ritroviamo le rispettive figlie riunite attorno allo stesso tavolo per confortare una di loro (Alba Rorhwacher) che ha perso la madre. Ma nonostante l'apparente evoluzione intellettuale, i problemi restano quelli. Anzi il disagio è accentuato da una grigia solitudine che non facilita un'alleanza fra quelle che un tempo, bambine innocenti, giocavano a fare le mamme mentre in salotto si parlottava rumorosamente fra una smazzata e carte rovesciate.
Esempio poco riuscito di Cineteatro, tutto al femminile, che si fa fatica a seguire. Ovvero: come dimostrare l'inadeguatezza di un fortunato testo teatrale (scritto da Cristina Comencini) esponendolo al martirio della trasposizione cinematografica. Non sappiamo fino a che punto le responsabilità di tale disfatta possano essere attribuite al pur valido Enzo Monteleone, unico barlume di mascolinità in un contesto volutamente androfobo. Ma l'autore dovrebbe almeno riflettere sul rischio di mantenere inalterata la struttura e sulla discutibilità di tale scelta azzardata. "Due partite" pecca infatti di verbosità, la noia sovrasta la generosa prova offerta dalle otto bravissime attrici e l'eventuale meritocrazia recitativa viene offuscata dalla rigidità del contesto. Complicità e consolazione la fanno da padrone mentre in coro le donne intonano le strofe di "Se telefonando" di Mina, confidando in un ipotetico riscatto della categoria. Peccato che la mannaia di un'Italietta maschilista e bacchettona che fuori alla finestra non riesce a cambiare si limiti ad esprimere la sua presunta evoluzione attraverso le nuove conquiste rimaste in svendita: l'inseminazione artificiale, il cellulare lasciato spento mentre il maschio docile offre dall'altro capo del filo sicurezza e protezione. Irrisolto e misterioso nella sua incompiutezza, è un film venuto fuori dal listino in un momento in cui la festa della donna, almeno per quanto riguarda le oscure logiche del cinema, è solo una data da appuntare sul calendario delle uscite in sala. Il dispiacere è accentuato dallo spreco di risorse: Margherita Buy e Paola Cortellesi sfoggiano straordinari tempi teatrali che, comunque, non si amalgano bene con il grande schermo. Del resto sull'importanza delle donne per il nostro pianeta si era già espresso con maggior convinzione e minori pretese il grande maestro Monicelli con "Speriamo che sia femmina". In "Due partite" la Comencini non svela la stessa anima di Cechov, nè tanto meno Monteleone riesce a farci rivivere le emozioni del cinema "domestico" di Ingmar Bergman. Non vuol essere una lamentela, ma è comunque un dato di fatto pesante come un macigno che contrasta con i tanti buoni propositi.
Cinema Alfieri, Corato - 8 Marzo 2009 (Barisera) |