"Gli artisti non hanno patria". Mentre la polizia irrompe con violenza nella platea di un vecchio politeama parigino, sconvolgendo la magica sospensione nel tempo di una prova generale, il capocomico Michelangelo (Massimo Ranieri), richiamato dalla gendarmerie che gli chiede le sue generalità, rinuncia ad un'appartenenza calando beffardamente la sua maschera nera. In questo piccolo frammento, che è il cuore del film, è racchiuso il senso di questo magico incontro fra cinema e teatro reso possibile da Maurizio Scaparro che torna sul grande schermo dopo anni di assenza. "L'ultimo Pulcinella" è una ballata tragica su una duplice questione: i conflitti generazionali e la convivenza multietnica. Il pretesto è dato da un soggetto inedito di Roberto Rossellini dove si ritrova il tormentato rapporto fra padre e figlio. Michelangelo è infatti un artista napoletano che si ostina a recitare con la maschera di Pulcinella, come se il tempo si fosse fermato. La vita, naturalmente, non gli sorride: rifiutato per ragioni commerciali dai direttori dei teatrini dove non trova spazio, non riesce a recuperare un dialogo con suo figlio Francesco (Domenico Balsamo), che si vergogna del disagio professionale del genitore e scappa misteriosamente da Napoli. Lo ritroviamo infatti nelle banlieues di Parigi, dove si è rifugiato per sfuggire ad una possibile ritorsione camorristica. Francesco, lo scopriremo in seguito, ha infatti assistito ad un'esecuzione; è un testimone involontario, e come tale, rischia di essere eliminato. Suo padre Michelangelo lo raggiunge, cercando di ritrovare un equilibrio che possa ricucire il rapporto tormentato con il figlio. E proprio a Parigi avviene la ricostruzione di un miracolo; un teatrino periferico abbandonato, custodito da una stravagante ex attrice italofrancese, deve essere recuperato. Un professore universitario della Sorbona (Jean Sorel), amico di Michelangelo, commissiona all'attore napoletano uno spettacolo musicale multietnico ispirato ad un testo perduto di Rossellini su Pulcinella. E' l'occasione giusta perchè l'anziano genitore e gli amici del figlio riescano a ritrovare una nuova intesa. Ed è proprio la musica che accorcia le distanze. La tradizione partenopea rivive attraverso le canzoni e le poesie cantate dall'ultimo Pulcinella. Nel quartiere, nel frattempo, scoppiano i disordini. Fuori al teatro si sentono esplosioni, le macchine bruciano. Il teatro diventato rifugio si trasforma in luogo di accoglienza. La cultura e la tradizione non si lasciano intimidire dal fracasso delle bombe. Pulcinella zompa e vola, noncurante del volgare cambiamento circostante, cantando la sua ultima canzone...
Film complesso e intenso, strettamente legato al connubio fra le due forme artistiche che è una costante nella poco prolifica carriera cinematografica di Scaparro (che ha visto in passato trasposizioni tratte da Kafka e Cervantes), "L'ultimo Pulcinella" mette a nudo la drammatica trasformazione di una società in conflitto. La maschera napoletana si affatica per trovare voce, il canto si trasforma in lamento, una Napoli irriconoscibile costringe i suoi figli ad abbandonarla. Un passato luminoso, oscurato dal malessere di un cambiamento irrefrenabile, diventa la metafora sostanziale di un semplice racconto a cui il regista romano riesce a conferire il prestigio della teatralità. Il film ha il suo punto di forza in uno strepitoso Massimo Ranieri in grado di regalare al suo personaggio il fervore di Antonio Petito (che è stato nel vero senso della parola l'ultimo Pulcinella) e la tenerezza rosselliniana. Numeri musicali affidati all'estro di Mauro Pagani che proprio con Ranieri ha reinventato in chiave etnica gli antichi spartiti di canzoni partenopee. Emozioni, qualche benefica scossa al cuore, la possibilità di riconciliarsi con la cultura e la tradizione. Retorica ruffiana assente. Qui non si fa superflua sociologia, semmai costruttivo costume.
Cinema Elia, Corato - 22 Aprile 2009 |