"State of play" è un film che recupera il rapporto tormentato fra informazione e politica americana, andando mondo oltre. Pone cioè al centro della sua indagine un sano e antico modo di fare giornalismo sul campo che finisce inevitabilmente con l'incrociare il suo destino con il moderno dilagare di blog e dati disponibili in tempo reale. Ma vi è di più: è uno dei pochi film, rispetto ai molti altri ambientati nel mondo delle redazioni dei "daily" o dei network, in cui il recupero dei valori principali di un mestiere difficile si concretizza nella capacità investigativa e deduttiva del cronista. Era dai tempi di "Tutti gli uomini del presidente" (1976), capolavoro dedicato allo scandalo mediatico del Watergate, che al cinema non si vedevano sfide incrociate così accese fra rotative a pieno regime e piani alti in fermento. Cal McCaffrey (Russell Crowe) è un pigro e metodico reporter che lavora presso il "Washington Globe", redazione turbata da un cambio di amministrazione che punta ad incrementare le vendite. Si occupa per lo più di politica interna e lavora seguendo metodi superati: taccuino e penna alla mano è il classico inviato in prima linea che si sposta a bordo della sua scassatissima Saab. Due delitti sconvolgono la quiete apparente della capitale: uno spacciatore balordo preso a pistolettate in un vicolo malfamato e l'assistente (nonchè amante non ufficiale) del membro del Congresso Stephen Collins (Ben Affleck), travolta misteriosamente dal treno in corsa in una stazione della metropolitana. I due omicidi sono comunque accomunati da un sottile legame. Collins presiede una commissione di vigilanza che sta mettendo sotto torchio una multinazionale legata all'industria militare e vuole fare chiarezza su certi affari sporchi. Non si escludono piste ritorsive, dato anche il ruolo fondamentale della povera ragazza nella commissione di vigilanza. Cal McCaffrey comincia a investigare in prima persona anche per evitare al politico in vista, suo compagno di studi giovanili, che la stampa possa montare ai suoi danni una campagna diffamatoria. Nella sua pericolosa inchiesta lo affianca la brillante e giovane giornalista Della Frye (Rachel McAdams), che cura le pagine web del "Washington Globe". Il rapporto metterà in luce una verità scottante e imprevista, inchiodando difronte alle proprie responsabilità gli artefici di un complotto politico attuato senza alcun rispetto per la vita e la dignità umana.
Tratto da una miniserie britannica, "State of play" è un thriller di ottima fattura che deve la sua riuscita principalmente all'abilità del suo regista. Kevin MacDonald viene dal documentario (ha diretto un memorabile reportage sulla tragedia delle Olimpiadi di Monaco del 1972) ma è passato con disinvoltura e grande merito al cinema di serie A. In "State of play" tutti gli ingranaggi funzionano a meraviglia: dalla cura per l'ambientazione, all'assegnazione dei ruoli, nonostante il film abbia avuto una gestazione difficoltosa per il cambio della guardia di molti attori ritiratisi dal progetto. In questa torbida vicenda in cui gli accusatori diventano accusati e in cui non vi è alcuna certezza fra lealtà apparente e lealtà reale, assume un notevole risalto la capacità del suo autore di mettere in evidenza i meccanismi complessi che regolano la redazione di un quotidiano. "State of play" si rivela inevitabilmente un instant movie credibile e formidabile in cui ci ritroviamo al cospetto della collusione sempre più evidente (e necessaria) fra notizia e politica, dove la credibilità di personaggi pubblici dipende dal taglio del pezzo in prima pagina. Ben interpretato da un Russel Crowe in prima linea, gladiatore irriconoscibilmente appesantito, il film è sostenuto magnificamente dai piccoli ruoli affidati a illustri maestri della recitazione. Helen Mirren è la disperata caporedattrice che insegue le vendite, Jason Bateman un corrotto ed ambiguo addetto alle pubbliche relazioni, Jeff Daniels è un politico bigotto falso come Giuda. Le mille luci di Washington D.C. brillano sotto il fuoco nemico. E gli uffici del Watergate tornano alla ribalta confermando che quarant'anni di storia non sono bastati per cambiare un paese.
Cinema Opera, Barletta - 3 Maggio 2009 |