Il premio Darwin è un riconoscimento attribuito agli esseri umani che, rispondendo ad una precisa serie di requisiti, si rendono responsabili delle morti più stupide, perdendo così capacità riproduttiva (requisito essenziale) e migliorando la specie umana con la loro eliminazione. Il premio, frequentemente postumo, è in memoria del teorico dell’evoluzionismo Charles Darwin che mai avrebbe profetizzato uso più umiliante per il suo illustre nome. Assegnato via internet attraverso la posta elettronica e documentazioni dettagliate sul web, pare sia nato una quindicina di anni fa per volere di una annoiata studentessa dell’università di Stanford e attualmente sia di fondamentale importanza dato il numero impressionante di visite giornaliere (www.darwinawards.com). Non consistendo né in riconoscimenti economici o in beni di qualsiasi altra natura, è il tributo esemplare alla stupidità umana, in nome del quale le scimmie farebbero meglio a disconoscere la nostra evoluzione. Fa parte ovviamente dello svariato museo degli orrori della navigazione internet, pur essendo tuttavia indolore e innocuo, ed è spesso suscettibile di falsi clamorosi. Il primo a divulgarne i demeriti fu Beppe Grillo che in alcuni suoi vecchi spettacoli (quando cioè stigmatizzava l’uso indiscriminato della rete) elencava le morti più assurde del secolo: l’uomo defenestratosi da un grattacielo per mettere alla prova la resistenza di un vetro blindato; il tizio che ebbe la sfortuna di accendersi un sigaro mentre un bovino emetteva gas naturali morendo per autocombustione; il croato che si divertiva a fare il giocoliere con le bombe a mano; il genio che tentò di illuminare un serbatoio di benzina con un accendino per accertarne l’esatta capienza…
Benchè ormai, crediamo, goda di fama mondiale la questione relativa ai Darwin Awards resta una prerogativa essenzialmente americana, fatta ad uso e consumo di una popolazione che presenta indubbiamente una lunga lista di possibili candidati alla premiazione. Noi europei stiamo a vedere cosa succede con l’innocente curiosità di chi un contributo al miglioramento della specie lo ha dato comunque, guardandosi bene dall’escogitare questa gara inutile.
Da questa idea affascinante e divertente viene fuori un film piccolo piccolo che, riallacciandosi alle morti più stupide, racconta invece l’esperienza personale di Burrows (J.Fiennes), un poliziotto specializzato nello studio del comportamento umano rimasto senza lavoro per problemi di ematofobia: la vista del sangue lo debilita.
E così il povero Burrows, abilissimo nelle indagini e nell’analisi delle prove, lascia la polizia e si ricicla in una grande compagnia di assicurazione per studiare il comportamento degli assistiti, smascherare eventuali frodi (la polizza vita è un incentivo ad una morte stupida), ricostruire l’esatta dinamica degli incidenti più strani.
Si presentano nell’ordine cadaveri che aspirano al premio, ma anche al riconoscimento della cospicua liquidazione: un tizio schiacciato da un distributore automatico di bevande (è un incidente casuale, o la vittima se l’è cercata?); un guidatore che ha montato una turbina sul portabagagli della sua auto trasformandola in un razzo ed è svanito nel nulla; due tossici precipitati con un furgone in un arena durante un concerto rock; un camper sprovvisto di autista che ha distrutto uno studio dentistico in piena attività.
Grazie alle perizie esemplari e all’esperienza della collega Siri Tayler (W.Ryder) l’assicurazione riuscirà a risparmiare un mucchio di soldi, appurando che molte sparizioni non sono poi così accidentali come sembrano. E, caso strano, Burrows ci guadagnerà pure una piacevole storia d’amore. Verboso e frammentario il film ha delle buone intuizioni che, per colpa di una regia un po’ inesperta e vaga, non riesce a sviluppare. E così all’atto pratico la storia si rivela molto più debole rispetto alla brillante idea di partenza, per cui il pur bravo Fiennes e la ritrovata Winona Ryder fanno i salti mortali per tappare le vistose falle della sceneggiatura. Un forte contributo alla pesantezza lo dà l’abuso della camera a mano, con immagini sfuocate e volutamente sporche, che è la tecnica di ripresa di buona parte del film. Il poco prolifico regista cinquantenne Finn Taylor (che non contribuirà all’evoluzione della specie dei cineasti) sa bene di non essere Truffaut anche se, va fatto notare in contesto di darwinismo, il compianto regista francese era più giovane di lui quandò realizzò “Effetto notte”. Le involuzioni sono assai frequenti, soprattutto quando si vuole (ma non si hanno i mezzi) parlare di cinema.
UCI Cinemas, Molfetta - Giugno 2007 (Barisera) |