Jimi Hendrix (1942-1970), a memoria d'uomo il più grande chitarrista di tutti tempi, aveva espressamente chiesto agli organizzatori del più grande raduno nella storia del rock di potersi esibire a chiusura del festival. Quando a tarda sera lo chiamarono dal retropalco, declinò l'invito. Evidentemente non se la sentì di salire sul mitico palco accerchiato da mezzo milione di ragazzi la notte del 17 Agosto 1969, ufficialmente il giorno di chiusura della manifestazione. L'indomani però alle 9 in punto cominciò la sua esibizione (che durò un paio d'ore) fra l'indifferenza dei pochi rimasti (circa 70000) davanti ad uno spettacolo desolante. Sul campo alle porte di Bethel, di proprietà dell'allevatore Max Yasgur, uno scenario irreale rifletteva i cocci di Woodstock. Dei tre giorni di pace, amore e musica trascorsi in un irripetibile clima di non-violenza e amore universale (a parte un morto per overdose e un ragazzo schiacciato per errore da un trattore) restava soltanto un cumulo sconfortante di macerie fisiologiche: l'immondezzaio risolto a dovere dai volontari dalle mani d'oro e gente che sfollava per tornare alla normale vita di un giorno feriale. Su quel terreno baciato dal sole, dalla tempesta e da un tornado che mise seriamente a rischio il funzionamento dell'impianto elettrico e acustico si era consumata una battaglia rivoluzionaria che avrebbe segnato per sempre quell'anno e gli anni a venire. 1969, quarant'anni fa. Da meno di un mese l'uomo era sbarcato sulla luna e mezzo milione di ragazzi si erano dati appuntamento, convergendo su una collina alle porte di New York per un evento singolare: un concerto rock celebrato dai più importanti gruppi del momento. Qualcuno ha fatto notare, giustamente, che entrambe le tappe storiche non sono più state ripetute: l'uomo non è più tornato sul magico satellite e nessuno è più riuscito a mettere su un fenomeno musicale di mastodontiche proporzioni come il raduno nella fattoria di Berthel.
A quarant'anni di distanza lo splendido documentario musicale di Michael Wadleigh (premio Oscar nel 1970) si conferma una fondamentale lezione di cinema a tutto tondo: fotografia, colonna sonora e montaggio. Per riuscire a montare il meglio delle 120 ore di riprese Wadleigh fece ricorso alla tecnica dello split-screen. Lo spettatore ebbe così l'opportunità di entrare nel vivo delle esibizioni sul palco di Woodstock, apprezzando le riprese da tre angolazioni. Un espediente che consentì al regista di sfruttare al massimo il girato triplicandolo in un'unica sequenza. L'impresa di Wadleigh, tanto per restare in tema, non è più stata ripetuta. Ma il suo "Woodstock" resta il più importante e significativo film musicale che la storia del cinema ricordi. Imperdibile, folgorante, spettacolare. I primi piani di Joe Cocker, John Sebastian e della bellissima Grace Slick dei "Jefferson Airplane"; il grandangolo per le acrobazie dei Sha-Na-Na; la psichedelia delle luci puntate, nel cuore nella notte, sulle magiche note di Joan Baez e Janis Joplin; la frenesia recepita durante l'irresistibile show dei "Who" all'imbrunire; l'assurda ballata pacifista intonata da Country Joe Mc Donald ("Feel like I'm fixing to die"). Musica inframmezzata da testimonianze, interviste, immagini rubate dalle seconde unità (dove prestavano onorato servizio futuri autori come Martin Scorsese e Lewis Teague). E il gran finale con l'inno americano strapazzato alla chitarra elettrica dall'incantatore Hendrix. Capolavoro dalle molteplici edizioni, più volte minacciato dalle cesoie della casa di produzione: consigliamo, ovviamente per ragioni di completezza, il recupero del director's cut che dura circa 224 minuti. Gli artisti migliori sono tutti presenti.
Bluray, 22 Luglio 2009 |