Metafora sghignazzante ma dolente sul trasformismo della sinistra italiana degli ultimi anni. O se vogliamo pesante autocritica di un cineasta militante in prima linea che ha dovuto per forza di cose bilanciare illusioni e delusioni derivanti dal processo involutivo di un'ideologia sempre più irriconoscibile. "Le ombre rosse" celebra un film di John Ford del '39 di ben altro genere. Qui le ombre comunque sono ben definite: salottieri, politicanti presunti radical-chic che nell'epilogo significativo del film si riuniscono all'interno di un loft ben arredato per pianificare una strategia che non avrà mai luogo, perchè penalizzata da una sconfitta elettorale. Siamo nell'autunno del 2007. Il governo Prodi è al potere. Tutto prende vita dalla visita di un affermato intellettuale di sinistra (Roberto Herlitzka) in un centro sociale di periferia, ricavato all'interno di una sala cinematografica romana sventrata. Alcuni "ragazzi straordinari" si preoccupano dell'insegnamento di alcuni bambini extracomunitari, accolgono i senzatetto, organizzano spettacoli musicali e culturali. Il professore resta affascinato dallo spirito di cooperazione e in una breve intervista per una tv locale si lascia scappare una citazione di un illustre scrittore politico francese (Andrè Malraux) mettendo in risalto la possibilità di recuperare le "Case della Cultura". La stampa mondiale coglie l'occasione per amplificare il messaggio, un eminente sindacalista raccoglie il guanto di sfida coinvolgendo uno dei più grandi architetti italiani (Ennio Fantastichini). La notizia va su tutte le prime pagine creando un clamore mediatico: il centro sociale comincia ad attirare l'attenzione di tutti. Si mettono progressivamente in fila: l'illustre architetto che comincia a pensare ad un maestoso laboratorio polifunzionale, i delegati di "Demobanca", un istituto di credito dalla parte del popolo, che vogliono trasformare il mausoleo in un centro commerciale. La spaccatura è nell'aria: si sente parlare sempre più di soldi e meno di idee. Le ragioni della solidarietà vanno a farsi benedire. E i vertici del partito di maggioranza pensano ad un disegno di legge ad hoc che possa estendere la possibilità di ricavare un centinaio di case della cultura in tutta Italia. Le buone intenzioni lasciano spazio alle cattive macerie della lotta intestina fra pedine della stessa appartenenza. La destra torna al potere con i clacson strombazzanti, portandosi via il tempo speso in battaglie inutili. A due anni di distanza il rudere punto di raccolta del centro sociale resiste ancora, ma c'è chi si ostina ugualmente a misurarlo...
Il cinema di Citto Maselli va analizzato ben oltre le chiare imposizioni ideologiche che lo ispirano. Il fervore del metodo spesso tende ad offuscare il contenuto. "Le ombre rosse" è una requisitoria incompleta sul disagio di una collettività propositiva, disgustata dalle armi di lotta finite nelle mani di colletti bianchi e spregevoli mercanti che seminano infezioni servendosi di un sottile strato politico ridotto a pretesto. Da una parte l'autore cerca di recuperare lo splendore di giovani che difendono con forza i loro ideali, esposti al massacro e alle lusinghe di una modernità oppressiva che riduce tutto in calcolo. Dal lato opposto della barricata descrive gli intrighi, i giochi sporchi degli esecutori della sinistra italiana, i volgari compromessi politici incompatibili con le ragioni dei militanti. Presentato fuori concorso a Venezia è una satira onesta sull'attuale senso di smarrimento vissuto da un moto ideologico alle corde. Ben servito dal solito carosello di partecipazioni amichevoli (Terzieff, Tognazzi, Foà), il lavoro di Maselli non realizza comunque in pieno la sua metafora che paga una genuinità anacronistica. Un leggero senso di monotona inquietudine pervade i nobili intenti idealistici di un autore italiano sempre in grado (comunque) di riproporre del buon cinema. Felice la scelta dei volti nuovi: Valentina Carnelutti in "parte", in perfetta armonia etica col suo personaggio. Ma non basta: il cinema politico si scolla dal contesto come la carta da parati, restando vago e irrisolto. Un grido disperato che rischia di perdersi nel vuoto. Non certo a danno, ovviamente, della pregevolezza tecnica (fotografia e musiche in primis) dell'insieme.
Cinema Esedra, Bari - 9 Settembre 2009 |