In un romanzo scritto da Curzio Malaparte nel '49 ("La pelle"), ambientato alla fine della seconda guerra, poco gradito e molto sfortunato, Napoli città aperta giaceva ai piedi dell'americano liberatore, mostrando il suo degrado, la sua anima corrotta. Irriconoscibile, spalancata senza ritegno verso un riscatto pragmatico, svendeva i suoi figli per un pezzo di cioccolata e una stecca di sigarette. L'anima ammalata di un posto magico, disegnato dagli dei, piegata alla mercè dell'ennesimo invasore. La Napoli di oggi continua a vendere cara la sua pelle, ma sono semplicemente cambiate le motivazioni che caratterizzano il sacrificio. Franco Campanella (Sergio Castellito), ad esempio, è il figlio degenerato di una città diversa. Un fallito che gode di un prepensionamento e che vive un'esistenza disdicevole, schiavo del gioco d'azzardo, posseduto dal demone del rischio e dall'illusione di centrare prima o poi il colpo grosso. Perdente nato, capace di passare dal banco dei pegni agli strozzini pur di raggranellare i soldi da puntare su una corsa o su un tavolo di poker, trascorre la sua giornata fra la sala scommesse e le bische clandestine. Ma nella vita privata è un padre benevolo e comprensivo di due bravi figli: il primo a servizio in un ristorante rinomato e la seconda prossima alle nozze che, fra sacrifici e rinunce, cerca di mettere da parte i soldi utili per organizzare il matrimonio. Gli equilibri cedono quando gli viene negato un finanziamento e comincia a cadere nella morsa dei malavitosi che tengono il banco. Disperato e solo, cerca comunque di adattare la sua filosofia di vita ad un rigore morale privato di ogni senso. La fierezza di chi è disposto a cadere in piedi non si sposa con la pericolosità dei nemici che gli hanno rubato la vita. Con l'ennesimo banco perso, vinto stavolta dal destino.
Autore interessante e promettente, Vincenzo Terracciano (napoletano, classe 1964), approda al suo terzo film raccontando l'amarezza d'un sottobosco inquietante ma, ahinoi, tremendamente autentico. Strozzini, giocatori viscidi, allibratori e bari di professione che popolano una giungla di disperati e che attestano come la vita, in fondo, sia una lotteria estenuante dove alla fine conta vincere il primo premio. Ad una prova magistrale di un Sergio Castellitto straordinario, in grado di passare dal registro comico a quello drammatico con la disinvoltura che solo illustri precedessori potevano permettersi (non facciamo nomi, ma qualcosa si intuisce), si aggiunge una ricostruzione fedele di ambienti e caratteristi, una fotografia bellissima curata da Fabio Cianchetti e Gianfilippo Corticelli. Una Napoli livida e mai solare che disperde il suo fascino luminoso, per cadere nello spettrale anonimato delle luci calde di una città qualunque. Luogo di perdizione e commercio di sogni ed incubi dove si consuma il fallimento esistenziale di un povero bugiardo, incapace di riappropriarsi del ruolo di capofamiglia esemplare. Sullo sfondo si ritrovano piacevolmente volti noti, legati al cinema napoletano: Gigio Morra, Salvatore Cantalupo, Iaia Forte anche qui nei panni di famelica e giunonica capobanda. Particolarmente ispirato il commento musicale di Nicola Piovani fra mandolinate e temi malinconici.
Uci Cinemas, Molfetta - 21 Settembre 2009 |