Delirio tarantiniano inseguito da anni, con cinema e passione che si fondono in un elemento unico fra citazioni goliardiche, dichiarazioni d'amore in celluloide che si sprecano come se piovesse, comicità e violenza, temi musicali di repertorio e pallottole: insomma il culmine raggiunto da uno dei pochi autori in grado di estraniarsi ed estraniare lo spettatore allo stesso tempo. All'origine c'era un piccolo grande film diretto più di trent'anni fa da Enzo G.Castellari, onesto artigiano del cinema italiano di genere, che in America fece sfracelli. "Quel maledetto treno blindato" era un film di guerra picaresco fatto con pochi mezzi (era l'epoca in cui c'erano più idee che soldi) che raccontava d'una banda di mercenari antinazisti a bordo di un convoglio sparato in corsa nel bel mezzo delle linee nemiche. Il remake di Tarantino si limita soltanto a riproporre il titolo di lavorazione di quel vecchio film italiano (che era appunto "Inglorious bastards") e a ridurre ai minimi termini lo spunto di partenza. Ma d'altro canto i paragoni fra le due versioni sono inutili e superflui, per la semplice ragione che il contorto universo tarantiniano è incompatibile con la personalità di altri uomini di cinema, avendo egli stesso brevettato un ferrato stile individuale. Quentin vive in un mondo particolarissimo dominato dalle leggi flessibili del "divertissment", dove tutto è finalizzato all'effetto che produce. E' sufficiente analizzare l'incipit di questo suo ultimo lavoro. Un campo lungo realizzato in uno spettacolare esterno giorno, cui seguono venti minuti circa di macchina fissa in interno. Due interlocutori che discutono, cambiando pronuncia, in tutta tranquillità profetizzando uno sconvolgente colpo di scena (situazione che si ripete nella lunga sequenza della taverna). C'è un povero contadino che protegge la vita di una famiglia ebrea e il viscido, imperturbabile colonnello Hans Landa (Christoph Waltz), soprannominato "cacciatore di ebrei" che si esibisce in una raffinata e prolissa arringa sul suo ruolo sociale di intransigente uomo di guerra. E, irrimediabilmente, anche qui si finisce con un bagno di sangue. Conosciamo in seguito i "bastardi" del titolo guidati dal tenente Aldo Raine (Brad Pitt): un plotone di esecuzione col vizio di massacrare i nazisti (anche con la mazza da baseball), perfezionatosi nel ripagare il loro odio verso gli ebrei con sevizie inenarrabili (fra queste l'obbligo di consegnare lo scalpo del nemico) che mandano su tutte le furie il fuhrer inviperito, che teme per le sorti della propaganda. Il commando di Raine sta progettando un complotto sensazionale: infiltrarsi nella Francia occupata, sterminare i nemici invasori e annientare i vertici militari durante la première di una pellicola sponsorizzata da Goebbles ("orgoglio della nazione") per il rilancio del cinema di propaganda. All'"operazione Kino", programmata scrupolosamente grazie anche all'appoggio di una bella attrice tedesca doppiogiochista (Diane Kruger), si aggiunge parallelamente la vendetta personale ordita da una ragazza ebrea (Mèlanie Laurent) scampata anni prima al massacro del colonnello Landa, che intende incendiare la sala gremita appiccando fuoco alle vulnerabili pellicole in nitrato. Finale coi fiocchi dove, ovviamente, le sorprese non mancheranno di spiazzare.
Presentata nel maggio scorso a Cannes, l'ultima fatica di Tarantino, indipendentemente dalla sua riuscita pur discutibile, ci regala la meravigliosa performance di un attore d'altri tempi. L'austriaco Christoph Waltz che si diverte come un matto nei panni della carogna nazista: un aguzzino dai modi gentili, elegante e psicopatico, con la stessa odiosa fisionomia del grande John Steiner in "Salon Kitty" di Brass (1976), maschera ideale, onnipresente nei nazi-movies degli anni '70. Non si esagera affatto nell'ammettere che il film in questione si poggia per lunghi tratti sulla sua memorabile caratterizzazione. Non ci sono ulteriori aspetti degni di rilievo: come in "Kill Bill" anche stavolta il film è strutturato in capitoli di differente lunghezza. Verboso quanto basta per tamponare le ferite derivanti dall'accumulo di violenza splatter, offre il sano ristoro del buon cinema d'autore ad alto tasso ironico. Ma Tarantino stesso lo sa bene e si agita nella consapevolezza di piazzarsi anni luce distante dal suo capolavoro visto che i fasti di "Pulp fiction" non ritornano. In un mondo di fantasia dove gli accadimenti storici si genuflettono alle ragioni della giocosità del cinema (e il fuhrer che muore abbrustolito e crivellato di colpi è un clamoroso falso) si ripercorrono più le strade del vizio che dell'abitudine. Restano costanti e ben delineate le sue debolezze feticiste (la Kruger modella perfetta per le verifiche plantari del colonnello), il rapporto sempre più marcato fra violenza e ironia, l'uso e abuso di colonne sonore riciclate provenienti da un'epoca che gli sta a cuore. Il circo anche stavolta è di buona compagnia, grazie ad espedienti davvero semplici come l'accumulo di gags visive ad effetto. Il fuhrer caricaturato, tra l'altro, sembra uscito da un musical irriverente e squinternato di Mel Brooks.
Cinema Impero, Trani - 2 Ottobre 2009 |