Opera prima del promettente regista Giuseppe Capotondi, "La doppia ora" a carte scoperte rischia di rivelarsi il film italiano più interessante della quaterna rappresentativa in concorso all'ultima mostra di Venezia. Interessante per un linguaggio cinematografico che si trasforma, spiazzando lo spettatore, costringendolo ad una sorta di complessa interazione che lo esorta a ricostruire i tasselli mutevoli disseminati dal regista nel suo svolgimento. Il film ci assicura molte certezze: l'affidabilità di una brava attrice italiana d'adozione, il fascino ambiguo e misterioso di un attore come Filippo Timi che cresce di film in film, la forza di uno script senza sbavature (realizzato da Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo) che riesce ad affascinare restituendo nuova vita al bistrattato genere noir. Torino, oggi. Sonia (Kseniya Rappoport) fa la cameriera al piano di un albergo frequentato da uomini d'affari. E' una ragazza combattuta dalla voglia di far fortuna, lasciandosi alle spalle un triste passato di fame e miseria nel suo paese d'origine, alla ricerca di una stabilità sentimentale. Si illude di trovarla durante un imbarazzante "speed date": incontri veloci per singoli alla frenetica ricerca dell'anima gemella. Guido (Filippo Timi), un passato non proprio esaltante da poliziotto, è il ragazzo che sembra possedere quella marcia in più per instaurare una relazione seria. L'incontro si consuma in fretta a lume di candela, ma prosegue nell'illusione di una possibile felicità reciproca. Poi accade qualcosa di inquietante che mette seriamente alla prova il loro rapporto appena iniziato. Guido presta servizio come guardia giurata per conto di un facoltoso imprenditore torinese, è addetto alla manutenzione dei sistemi di allarmi e di videosorveglianza. Per far colpo sulla bella Sonia commette una leggerezza sul lavoro, abbassa la guardia e si ritrova senza volerlo con una pistola alla tempia. E' un tentativo di rapina pianificato nei dettagli che va a buon fine ma non senza inevitabili strascichi tragici. Ci scappa il ferito, forse anche un morto. Ma nulla è quello che sembra. Il passato segue un percorso ciclico e viene rivissuto. Ed è qui che l'autore ci conforta, preannunciandoci qualcosa di nuovo, anzi nuovissimo, all'orizzonte. Un'iniziativa coraggiosa ed ammirevole per un film italiano girato nell'anno di grazia 2009. Tanto di cappello: si fa leva sulla mente dello spettatore, inducendolo attivamente a reinterpretare la realtà. Il racconto pesca nel torbido, i ritratti dei personaggi appaiono sfuggenti, tutto appare incredibilmente confuso...
Avvicinarsi ancora di più al senso della trama è un peccato imperdonabile che non vale la pena commettere. Quello che più ci interessa segnalare è il sonoro vagito di un nuovo cinema italiano che c'è e lotta con noi. Un ebnefico metodo alternativo di sovvertire le regole della narrazione, in nome di un'originalità che fa bene all'economia creativa in piena inflazione. Bravissimo l'autore Capotondi nel portare a casa il risultato con due personaggi all'altezza del suo progetto ambizioso. Con una riserva: la trappola micidiale, l'ennesima, tirata alla notevole Kseniya Rappoport, non nuova nei panni ambigui e misteriosi di donna vissuta con l'armadio pieno di cadaveri. Rischia di diventare schiava di un personaggio, le farebbe bene una disintossicazione più rilassante in circostanze diverse, perchè di capacità ne ha da vendere. Suggestiva l'ambientazione, la ricostruzione di alcuni luoghi. La freddezza e l'asetticità di una Torino vuota e disperata nei suoi gelidi interni. Squallide camere d'albergo a quattro stelle, raggelanti luci della città di un posto di frontiera (a tratti sembra di rivivere lo spirito del secondo film di Sorrentino). Perfettamente a proprio agio una suspence fatta con ricette antiche: che parte dalla mente, per arrivare a stringere il cuore togliendo il fiato.
Cinema Opera, Barletta - 11 Ottobre 2009 |