Strana sensazione: durante la concitata sequenza della caccia al cinghiale che apre il film (e che cita nella totale inconsapevolezza "Ran", capolavoro di Kurosawa) ti aspetti da un momento all'altro lo spot del bagnoschiuma. Primo film in assoluto di propaganda leghista, "Barbarossa" è una timida ma significativa prova lampante che ancor'oggi, grazie al cielo, si può fare onesto (!) cinema su commissione. A patto che le compiacenze ministeriali e il benestare dei funzionari preposti alla bisogna facilitino l'iter burocratico per la rapida avanzata al traguardo. Renzo Martinelli, regista inviso ai critici e comunque sfuggente alle regole del cinema dalla parte del pubblico, continua ad essere penalizzato dalla sua reputazione di autore che si butta a destra. La sua fama precede ed oscura il presunto valore dei suoi lavori, non ci si può far niente. E con lui si rinnova puntualmente un miracolo assai distante da quel vecchio cinema schierato dei bei tempi in cui il grande schermo rappresentava ancora una scorciatoia comunicativa per spronare le coscienze. Martinelli sta al cinema come Tyson stava al ring. Regista accorto, magari anche esperto nel riuscire a compiere grandi imprese (da "Vajont" in poi tutti i suoi film sono sulla carta dei veri e propri kolossal), ma inevitabilmente la lavorazione delle sue pellicole solleva tanti pregiudizi che, a conti fatti, infangano il totale della somma. Leggende metropolitane attestano che "Barbarossa" sia stato un film fortemente voluto da Umberto Bossi e dai vertici del Carroccio; si raccontano peste e corna, bugie e false verità sui soldi pubblici confluiti nell'operazione, sull'opportunità di assegnare al progetto in questione "il contributo per l'interesse nazionale". Nessuno riesce a sottrarre lo scomodo oggetto del racconto dalla politicizzazione e dagli estremismi con i quali Martinelli è abituato a convivere. Ci limiteremo stavolta ad una reale valutazione tecnica, al fine di non ricadere nella volgare stroncatura motivata da "indubbia appartenenza". Non è il nostro caso, comunque, giacchè le cattive intenzioni politiche non sono poi così insopportabili quanto può esserlo un campo lungo inutile o un dolly di troppo.
"Barbarossa" è semplicemente un brutto ed evitabile film che non aggiunge nulla di nuovo al genere cappa e spada, sul quale ormai illustri precedessori (Mel Gibson ad esempio) si sono espressi con argomenti ben più validi. Ci sono inoltre dei clamorosi falsi storici che attestano l'ingenuità e sminuiscono il mestiere di Martinelli che, inutile negarlo, mostra di conoscere benissimo le regole basilari del cinema d'azione. Ma onestamente due ore e venti di duelli e sgaloppate equine sono troppe anche per un leghista convinto. In più vi è da considerare l'onestà lampante dell'ennesimo messaggio subliminale xenofobo. Federico I detto il Barbarossa fu il primo extracomunitario invasore a portare scompiglio nella tranquilla ed amena comunità lombarda. E giù reazioni al grido di "libertà, libertà" e caccia al disonesto invasore che usurpa il territorio con assurde tassazioni. Tenendo a bada l'insofferenza di natura ideologica sulla bassa propaganda fatta dall'autore al suo fuhrer potenziale, resta poco da salvare in un pastrocchio nella cui rete si imbrigliano attori di fama internazionale come Rutger Hauer (che fa il Barbarossa come se si trovasse in un fantasy alla "Ladyhawke") e il feticcio F.Murray Abraham (il laido e viscido doppiogiochista). Le donzelle hanno le fattezze gentili della Smutniak, di Cecile Cassel e di Federica Martinelli, che attesta la lungimiranza sparagnina di una allegra gestione a carattere familiare. Su Martinelli gravano prove d'appello che indubbiamente non mancherà di vincere. Ma così com'è questo scomodo e luccicante giocattolone a metà strada fra l'avventura e la storia si rivela, ed è un danno, seriamente inesportabile. Gli stranieri che già "ci dipingono così" non hanno bisogno delle clamorose sviste di storiografi improvvisati che non hanno mai aperto un libro.
UCI Cinemas, Molfetta - 14 Ottobre 2009 |