"Dio lo sa che non è vero" sussurra timidamente la povera Sara (Isabella Ragonese) alla sua compagna Angela (Valeria Solarino) che agli occhi di tutti, dopo mesi di dure sofferenze, pur di amarla ha dovuto fingersi uomo. Siamo a Favignana, isoletta dell'arcipelago delle Egadi, al largo di Trapani verso la metà dell'800. La miseria che non ti lascia apprezzare nemmeno i baci che il sole manda ha chiuso gli uomini in cava e le donne fuori a intrecciare nasse per la pesca. Le due ragazze si conoscono da bambine: giocano insieme, si separano e si ritrovano a distanza di tempo nel momento di maturazione della femminilità. E' proprio Angela, la più forte delle due, a prendere l'iniziativa. Ed è amore vero, il suo. E' così legata sentimentalmente alla sua compagna, da sacrificare per amore i suoi normali desideri di donna. Ma la società bigotta e le tradizioni spesso ottuse di un sud che si rifiuta di capire innalzano una forte barriera che ostacola questo represso desiderio di felicità. Angela è succube di un padre padrone (Ennio Fantastichini) che la umilia e la maltratta e che vorrebbe per lei ben altro destino: un matrimonio regolare con un bravo ragazzo del luogo, ad esempio. Ed è qui, dopo aver patito la solitudine punitiva in un'umida cantina, che la ragazza propone ai suoi genitori un assurdo compromesso. Sparire di scena per poi ripresentarsi con il seno fasciato, un fardello sotto la cintura e i capelli corti come Angelo, il figlio maschio che aiuterà il padre a dirigere gli operai nella cava. Una "fimmina", incompreso scherzo della natura, che fa posto ad un "mezzo mascolo". Arriva presto la felicità, ma non durerà a lungo: Angela conoscerà il lato oscuro della mascolinità e sulla pelle della sua compagna la fragilità dell'essere donna. Liberamente ispirato al romanzo "Minchia di re" di Giacomo Pilati, "Viola di mare" ci trasporta in una Sicilia fredda e chiusa, di fatto diversa da quella solare e passionale raccontata da Tornatore nel suo ultimo film. Siamo in una fase storica particolare di questa amatissima isola. L'epoca della fame e del proletariato come unica fonte di sostentamento. Periodo difficilissimo dove la nascita di una figlia femmina equivaleva ad una vera e propria disgrazia in famiglia. Donatella Maiorca, assente dal grande schermo da ben dieci anni (il suo film d'esordio "Viol@" fu il primo ad affrontare la tematica delle chatline su internet), filtra la nuova tematica attraverso un rapporto tessuto da sensibilità e complicità femminile. L'osteggiata relazione omosessuale di due povere ragazze in una terra inospitale e aperta solo alla repressione maschilista diventa il grido disperato lanciato per la rivendicazione di un comune diritto alla libertà. Il film sostiene allora tesi nobilissime, difendendo l'importanza del sentimento vero, indipendentemente dalla diversità dei sessi. Ben servito dall'affiatamento mostrato dalle due brave protagoniste (ma la Solarino ha una doppia responsabilità), il lavoro della Maiorca soffre tuttavia alcune evitabili lungaggini nella seconda parte e un abuso insistito di scabrosità forzate. Una sceneggiatura che perde per strada le sue buone qualità, alla costante ricerca dell'effetto tragico (qui davvero immotivato) Le strimpellate rock di Gianna Nannini nel regno delle due Sicilie costituiscono un altro limite, una scelta non proprio felicissima che non ripaga degnamente l'audacia di alcuni orientamenti fin troppo azzardati e non condivisibili.
Cinema Impero, Trani - 18 Ottobre 2009 (Barisera) |