Gli americani e la grande illusione del capitalismo e del libero mercato: una bella storia d'amore destinata a finire in tragedia come i comuni delitti passionali infiammati dalla fiducia tradita. Con "Capitalism" il documentarista pluridecorato Michael Moore torna a raccontare le contraddizioni e il malessere interno di un paese trasformato da un'involuzione irreversibile. Dopo aver fatto luce sull'industria della paura che pianifica le fobie degli americani attraverso l'abuso di armi ("Bowling a Columbine"), la disinformazione sulla reale minaccia terroristica islamica ("Fahreneit 9/11") e un vergognoso sistema sanitario da terzo mondo ("Sicko"), Moore sposta l'asse del suo ultimo reportage sulla più grande rapina del secolo che ha rotto la diga dell'equilibrio, investendo il pianeta con la sconvolgente crisi economica partita nel 2006. Impoverita dalla speculazione legalizzata delle banche e da immobiliaristi senza scrupoli, la classe operaia americana si ritrova spazzata fuori dal diritto alla dignità. Sono storie allucinanti che Moore documenta con il solito stile a metà strada fra il dramma e il paradosso: cittadini costretti a sottoscrivere trappole mortali attraverso micidiali mutui ipotecari subprime (con tassi di interesse incompatibili con il loro reddito) che non riusciranno mai ad onorare, consegnandosi puntualmente nelle fauci di un esproprio. Piloti impiegati in rinomate compagne aeree mal retribuiti e costretti ad arrotondare la paga da fame con lavori secondari con conseguenze sconcertanti sul rispettivo stato mentale; multinazionali che intascano segretamente i premi consistenti delle polizze vita in seguito alla morte dei propri impiegati, senza mettere al corrente le famiglie. Tutto questo mentre i grandi scienziati dell'economia non sanno di cosa parlano quando alludono ai "derivati" e a prodotti obbligazionari ad alto rischio. Un rapporto solido sempre più eclatante ed inaccettabile fra interessi privati e soldi pubblici con il parlamento trasformato in un ramo d'azienda per il profitto di pochi. La speranza riposta nella consegna delle chiavi del futuro nelle mani di Barak Obama crea una linea di continuità con l'onesta politica di Roosevelt e sul progetto (mai attuato) di una seconda carta dei diritti del cittadino. Lo stile di Moore è asciutto e diretto, mira a cogliere il lato oscuro di un'America assurda: la disperazione dei cittadini poveri nel paese più ricco del mondo. Il documentarista si espone anche stavolta ai rischi derivanti dalla speculazione delle immagini (la chiusura con le immagini girate in una New Orleans allagata mette i brividi). Ma "Capitalism" rispetto ai film precedenti richiede la massima attenzione dello spettatore, sacrificio necessario ma faticoso. Molto più tecnico ed analitico, "Capitalism" conferma il valore di un cinema di denuncia e attesta i meriti di un feroce autore d'assalto illuminato da intuizioni geniali: come quella, ad esempio, di circondare l'edificio più rappresentativo di Wall Street, con il nastro giallo usato dai poliziotti per transennare l'accesso alle scene del crimine. I suoi sinistri interlocutori brancolano fra l'omertà e la spavalderia. Fra la consapevolezza di danni irreversibili e una moralità calpestata con sprezzante arroganza. Bruciano le bandiere a stelle e striscie nel cuore di un cittadino americano che si sgola per esprimere il suo disagio. L'invito al cambiamento è eloquente, ma soffiano forte i venti del qualunquismo. Ora che Bush è archiviato nel cestino dei ricordi, Moore corre il rischio di esaurire le risorse della sua propaganda.
UCI Cinemas, Molfetta - 31 Ottobre 2009 (Barisera) |