Assurto agli onori della cronaca criminale dell'America della Grande Depressione degli anni '30 come il nemico pubblico numero uno John Dillinger (1903-1934) fu in sostanza un eroe maligno ma a suo modo romantico. Un bandito dalla faccia d'angelo capace di terrorizzare gli istituti di credito ma anche di vendicare gli espropri ai danni del popolo bruciando i registri contabili dei mutui ipotecari, restituendo ai legittimi proprietari il denaro maltolto. Un cattivo con una coscienza civile perfettamente in grado, dopo le raffiche di mitra di una sparatoria, di agire come i paladini al servizio della povera gente. A questo personaggio enigmatico ed affacinante nell'arco di sessant'anni il cinema internazionale ha dedicato circa una decina di film, alcuni più o meno riusciti. Michael Mann, uno dei registi americani più ispirati degli ultimi tempi ("Collateral", "Alì", "Miami Vice", "L'ultimo dei Mohicani"), si sofferma praticamente sull'ultimo anno della sua breve esistenza: dall'evasione rocambolesca del '33 da un penitenziario di massima sicurezza dell'Indiana fino alla sua tragica uccisione avvenuta nel '34 all'esterno di un cinema di Chicago dopo uno scrupoloso lavoro di indagine da parte dei federali. In questo breve arco di tempo assistiamo alla ricostruzione delle sue spaventose imprese: rapine sanguinose, inseguimenti, appostamenti, arresti e processi. Passando attraverso le frequenti latitanze di lusso di Dillinger. Belva umana passionale e concreta nei sentimenti, John si invaghì di Billie Frechette (Marion Cotillard), praticamente l'unica donna che gli rimase fedele fino agli ultimi giorni della sua vita. Fu un amore contrastato da una evidente diversità caratteriale: troppo esuberante e venale l'animo di Dillinger rispetto alla delicatezza e all'ingenuità della sua sfortunata compagna che per amore si immolò alla causa del banditismo. Michael Mann ripropone uno scenario non proprio inedito che solleva inevitabili accostamenti di ambientazione con "Untouchables" di De Palma o il recente "Changeling" di Eastwood. Il valore aggiunto determinante per la riuscita del film in questione resta senza ombra di dubbio il magistrale lavoro fotografico del nostro Dante Spinotti. Collaboratore assiduo di Mann (venticinque anni di sodalizio professionale non sono uno scherzo), Spinotti riadatta la logica del noir moderno al film d'epoca. Ma le dinamiche bellissime ed affascinanti sono quelle di un poliziesco contemporaneo che rivive attraverso il preziosismo estetico, mantenendo alta comunque la cifra innovativa che è una costante garantita nel cinema nobile di Mann. Il film è anche l'occasione per l'ennesima riproposta del classico duello attoriale fra il gatto e il topo: sfida affidata stavolta ai volti di Johnny Deep e Christian Bale. Entrambi bravissimi nel sottolineare il cinismo e la determinazione di due uomini contro, votati ad una diversa causa. E il brivido corre lungo la schiena concedendoci anche il lusso stravagante della beffa: memorabile a tal proposito la sequenza del bandito braccato in tutto il paese che passeggia tranquillamente indisturbato negli uffici della centrale di polizia di Chicago, compiacendosi del mostruoso lavoro di indagine del "team Dillinger", scambiando qualche battuta con gli agenti a riposo. Momento di grande cinema capace, come accade raramente, di legare lo spettatore alla comoda poltrona con il filo robusto dell'emozione.
Cinema Impero, Trani - 7 Novembre 2009 (Barisera) |