Una pellicola dalla miccia corta (titolo del libro scritto da Sergio Segio, cui si ispira) che non esplode mai, con gravi disagi causati da una recitazione da retroguardia. "La prima linea" era il film di cui tutti avevano parlato senza averlo visto (così almeno sostiene la didascalia del trailer), fra le mille polemiche relative al sostegno di contributi statali prima accettati e poi rifiutati dalla distribuzione. Per carità un'onta ignobile per chi valuta frequentemente la qualità delle opere in base al loro contenuto, rendendosi partecipe di una sorta di censura preventiva. Il problema non è però legato alla scomodità o alla minaccia latente dei film legati all'argomento terrorismo italiano, quanto ai grossi limiti di un'industria che non riesce più ad avvalersi del beneficio della credibilità in un momento particolare del cinema italiano in cui l'abbondanza di "distretti di polizia" (scuola di formazione per lo stesso regista Renato De Maria) ha contribuito a inflazionare il cinema di genere. Ed è un vero peccato perchè con i suoi serratissimi tempi da fiction, questo "La prima linea", con le giuste depurazioni, avrebbe giovato tantissimo una programmazione in prima serata televisiva. Molto più impervia e scomoda la strada dell'uscita in sala: destino infausto in tempo di crisi dove il potere decisionale dello spettatore pagante sembra essere più motivato dalle tragedie future (leggi "2012" di Emmerich) che dalla triste contemplazioni degli errori commessi in passato (leggi terrorismo sconfessato dalla storia). Il film racconta l'amara odissea criminale del massimo esponente di PL Sergio Segio, condannato all'ergastolo ma che ha beneficiato di una riduzione di pena scontando di fatto 22 anni di carcere. La storia parte dal pentimento-confessione in primo piano del protagonista Riccardo Scamarcio che come uno speaker intontito da una botta, in perfetto stile "Blade Runner - io ho visto cose che voi umani non avreste mai potuto vedere", ricostruisce l'ascesa e caduta del suo gruppo armato. Non è un film che pone la questione nell'ottica di un'analisi ideologica, presto si passa (per fortuna) ai movimenti di macchina. E va riconosciuto a De Maria il merito di essere riuscito a girare un film onesto dove quella poca azione è comunque ricavata con grande professionalità. Appostamenti, attentati e sparatorie ricostruite dignitosamente fino alle fasi concitatissime della spettacolare evasione dal carcere di Rovigo, organizzata nel gennaio del 1982, dove perse la vita un povero ed inerme passante. Il contorno è comunque pesante ed opprimente; una lentezza di fondo (e il povero De Maria non ha certo il tocco autoriale della Von Trotta di "Anni di piombo", da molti scomodato ingiustamente per un paragone che non regge) aggravata dalla recitazione dimessa del giovane protagonista che mette seriamente a repentaglio gli equilibri. Troppo poco perchè il film, con tutte le sue buone intenzioni, riesca a far breccia nella memoria dello spettatore. Una puntata, uno special ricavato con gli accattivanti mezzi per l'impasto da fiction. Tentativo che vanifica in pieno le potenziali capacità di De Maria facendole naufragare nell'anacronismo di un'operazione nostalgica poco riuscita.
Uci Cinemas, Molfetta - 20 Novembre 2009 (Barisera) |