Sbuffa il treno e sferraglia sui binari della memoria lungo la ferrovia appulo lucana. Il cerchio si chiude attorno al punto di partenza: proprio da "La stazione" (1990) quasi vent'anni fa è iniziata la meravigliosa avventura cinematografica di un artista a noi caro che da queste parti ha il vantaggio di giocare sempre in casa. "L'uomo nero" riporta il Sergio Rubini regista, dopo il freddo e distaccato "Colpo d'occhio", ai fasti del cinema intimista legato alla sua amata terra, dove il tema del ricordo viene ad essere il fulcro centrale della storia. Gabriele Rossetti (Fabrizio Gifuni) torna in Puglia al capezzale del padre morente. Un'ultima frase sussuratagli in punto di morte gli riapre incredibilmente uno squarcio sul passato. Ci ritroviamo nell'estate del '67 nel paesino con il protagonista che ripercorre le tappe della sua giovinezza. Le paure per quel sinistro e torvo omone che gli appariva all'improvviso (la cui identità si svelerà in seguito), le marachelle con i compagni di giochi, l'amore per la dolce madre (Valeria Golino), l'affetto per lo zio Pinuccio (Riccardo Scamarcio), scapolone impenitente, e soprattutto il rapporto non facile con il papà, frustrato capostazione con la passione della pittura. Il mestiere di "guardiano delle ferrovie" è accettato da Ernesto Rossetti (Sergio Rubini) con la passività di chi è stato costretto a sottomettersi alla volontà dei grandi, chiudendo per sempre il cassetto dei sogni. Eppure la predisposizione artistica viene caldeggiata da amici accondiscendenti che lo spingono ad allestire una personale mostra di pittura, con un omaggio al grande Cezanne, nelle sale della pro loco. Ernesto coltiva il suo grande sogno e si mette così in pasto al cinismo tutto provinciale delle serpi che lo circondano di falsi sorrisi: un illustre ma ipocrita critico artistico (Vito Signorile), penna affilatissima del quotidiano regionale, prima lo illude e poi lo stronca con una recensione che è una pugnalata al cuore. Ernesto cade in preda ad una crisi profonda che segnerà il suo equilibrio familiare e che lo porterà a ricorrere ad un geniale e vendicativo piano di rivalsa.
Cinema personale: prendere o lasciare. Il filmare di Rubini parte dal cuore di Puglia per estendere un discorso ampio sui benefici apportati dalla riscoperta delle proprie radici. "L'uomo nero" cela dietro l'apparente spensieratezza di una famiglia meridionale degli anni '60 tutto il retaggio culturale di un Sud fatto di ambizioni sopite e di sogni raggelati dalla fatica. Un padre di famiglia tormentato dai fantasmi di un fallimento personale ed esposto alla cattiveria del provincialismo che cerca di riscattarsi come può. Dardi lanciati contro i critici pretenziosi che, senza badarci, spengono sul nascere i focolai della creatività. Un bimbo che per non ripetere gli errori del suo genitore, scappa dalla sua terra lasciandoci il cuore. Il lavoro di Rubini è intenso e piacevole e gioca ancora una volta sul tema del "ritorno". Non cede alle trappole oniriche (nonostante l'autore sia di formazione felliniana), nè ai preziosismi estetici tanto cari ai concorrenti che, per raccontare i propri ricordi, si lasciano prendere la mano abusando dell'immagine. "L'uomo nero" svela amore sviscerato per le proprie radici e rievoca con innocenza e nostalgia un'Italia finita sulle pagine ingiallite degli album dei ricordi. Azzeccatissima la scelta dei ruoli. Il regista riesce a rivalutare pienamente l'abilità di Riccardo Scamarcio nei panni insoliti di uno mitico "zio" sciupafemmine per il quale il nipotino affezionato (il piccolo Guido Giaquinto), il giorno delle nozze, verserà sincere lacrime di dispiacere. Maurizio Micheli e Vito Signorile (quest'ultimo bravissimo nel ritrarsi in un giornalista infame) come il gatto e la volpe vessano e circuiscono l'inerme protagonista. Valeria Golino, credibile mamma meridionale, unisce bellezza e sacrificio. Rubini straordinario da una parte e l'altra della macchina da presa. Un cinema che riesce a distrarre, a far riflettere, e ad emozionare con il fascino perduto delle cose semplici.
Uci Cinemas, Molfetta - 4 Dicembre 2009 |