In una sequenza di calma assoluta spunta all’improvviso l’immagine subliminale di un demone; conseguenze pericolose: sussulti e urla serviti come da copione su un macabro piatto d'Argento. Il “maestro” Dario si sbraccia con la gioia e l'innocenza di un bambino raccogliendo con merito una standing ovation per i suoi primi quarant'anni spesi a servizio del cinema, forse spunteranno candeline su cui soffiare. Cela però dietro un sorriso apparente di circostanza tutto il veleno verso la patria ingrata (che però gli fa festa) e trova parole dolci solo per il suo dorato esilio americano dove la professionalità si sposa ancora con il rispetto. Ce l'ha con la televisione ma soprattutto con le fiction incombenti che hanno ammazzato la creatività alterando il quoziente medio del talento. Poco importa se “La terza madre” non porterà a casa un bottino pieno; tutti sapevamo che era un film “dovuto”, atteso per la necessità di porre fine alla trilogia che ha segnato la sua inaspettata emigrazione dal thriller vecchio stampo al “gore” sovvertendo radicalmente il suo stile, rimpiazzando la mancanza di suggestione narrativa con i tangibili eccessi della macchina da presa. Il rosso è diventato profondissimo, inchinandosi davanti agli effettacci da cinema splatter che qualcuno si diverte a ribattezzare “Grindhouse” e che hanno perso ogni poesia per colpa della computer grafica. Strombazzato come uno dei suoi film piu' violenti e paurosi, “la terza madre” è il classico topolino partorito dalla montagna mediatica. L’effetto collaterale è la sopravvalutazione che, non è un caso, fa sempre rima con delusione. Un film certamente non pienamente riuscito perchè risente troppo della trepidante attesa accompagnata dall’amara constatazione, inutile negarlo, che Dario da dieci anni a questa parte ha annacquato il suo genio, gestendolo male e spendendolo peggio..
Eppure non si può fare a meno di subire il fascino di un diabolico trittico con cui l’autore si è servito di autentiche nozioni di alchimia (Thomas De Quincey), pescando nei testi maledetti di stregoneria, parlando dell'occulto privo del filtro fantastico delle fiabe nere, cercando un nesso con tutto il male di vivere che affligge la società disarmandoci davanti a tragedie inspiegabili e alle impennate di gratuita violenza. E' meglio, ma non del tutto necessario, rinfrescarsi la memoria e accomodarsi in sala dopo aver rivisto i precedenti “tomi” ovvero “Suspiria” (1977) e “Inferno” (1980), laddove si parlava delle case maledette abitate a Friburgo da Mater Suspirorium e a New York da Mater Tenebrarum e dell'incetta di cadaveri accatastati per tenere a bada le due forze del male più terribili sulla terra. Ma i sacrifici precedenti a quanto pare sono serviti a poco. In seguito al rinvenimento nel cimitero di Viterbo, durante alcuni scavi, di una strana urna recante antiche iscrizioni incatenata ad una bara (bell’inizio non c’è che dire), eventi nefasti mettono in ginocchio la capitale. Roma rischia di bruciare per l’ennesima volta: stupri, risse, rapine ma soprattutto molti funerali. La madre delle lacrime, l’unica delle tre parche ancora in vita ma anche la più tremenda e affascinante, sta infatti radunando i suoi adepti per un funesto sabba conclusivo. Toccherà alla povera Sarah Mandy (Asia Argento), dotata inconsapevolmente di poteri paranormali perché figlia di una strega bianca, fermare le inarrestabili forze del male e lottare all’ultimo sangue contro la perfida creatura…
Parlando in termini di cinema funzionale l’intento primario di un buon regista “de paura” è quello di scatenare il terrore e, possibilmente, tormentare le notti; la missione artistica di Argento tuttavia oggi trova un ostacolo invalicabile nei suoi stessi capolavori del passato. Paragonare un horror come “La terza madre” all’autenticità di certo sano artigianato precedente, lo ha ammesso lo stesso regista, è fuori luogo e serve a poco. O sono cambiati i tempi o sono cambiate le paure. L’unica certezza è che è cambiato il modo di girare.
Il film in questione offre due ore scarse di divertimento che hanno poco in comune con i precedenti capitoli (che vale la pena riscoprire) e che fanno volentieri a meno di spiegazioni attendibili, strizzando più volte l’occhio alla cassetta. Benchè sia ben confezionato e si conceda il contributo speciale di due mostri sacri come Philippe Leroy (l’ambiguo alchimista) e Udo Kier (il prete disperato) è un ennesimo balzo all’indietro di un autore cui, per affetto e simpatia, si perdona comunque tutto, soprattutto la mancanza di idee (Zapponi e Ferrini tra l’altro non ci sono e l’assenza di sceneggiatori esperti pesa eccome). Però l’incipit che pesca nel lago dell’Esorcista e il prologo degno dell’affluente della Mummia è cosa assai grave. E allora come si diceva la suggestione fa necessariamente spazio alla materia e vengono giù colpi d’ascia, impalamenti, neonati gettati dai ponti, marmellata ai frutti di bosco che basterebbe per la colazione d’un esercito.
Più che il frastuono della partitura non proprio new-age del maestro Claudio Simonetti i timpani vengono messi alla prova dalle urla di una scimmietta diabolica, ammaestrata a dovere a far danni, che sa tanto di furbo riciclaggio (do you like Phenomena?).
In parole povere: uno scherzetto perdonabile che necessita di un’immediata purificazione. Ma è un cinema tuttavia sano, a gestione familiare dove a parte Asia si rifà viva, a mezzo ologramma, la signora Daria Nicolodi nei panni della strega buona che, come il piccolo Yoda di “Star wars”, guida la protagonista nell’eterna lotta contro il male. La madre delle lacrime ha le fattezze succinte di Moran Atias, splendida modella israeliana. Se non fosse per la proverbiale e maniacale anima solitaria di Argento qualcuno potrebbe pensare alla supervisione di Tinto Brass per queste sequenze. Ci mancava anche l’horror erotico…
Anteprima Festa del Cinema di Roma - Ottobre 2007 (Barisera) |