Si riappropria del suo valore quel cinema strappalacrime, permeato di sani e buoni sentimenti, tanto ostile alla critica progressista che storce il naso ogniqualvolta si rispolvera la tradizione popolare per dispensare emozioni facili alla grande platea. Presentato ad ottobre in occasione dell'apertura della Festa di Roma, l'alto potenziale struggente di "Hachiko" viene fatto finalmente brillare come il botto di fine anno dalla Lucky Red di Occhipinti, distribuzione che punta alla qualità dei prodotti indipendentemente dai suoi effetti indesiderati. Ad onor di cronaca va aggiunto che, preso in disparte dalle sue scorciatoie emozionali, "Hachiko" è un gran bel film, sicuramente il più significativo sul concetto inequivocabile di fedeltà. Una storia vera che non mancherà di inumidire i fazzoletti, ma che punta direttamente al cuore e alla mente dello spettatore, scatenando una pioggia torrenziale di lacrime dolcissime. La vicenda si ispira, come è noto, al racconto (già trasposto in un film giapponese del 1987) dell'amicizia straordinaria che legò un professore di Tokyo ad un cane Akita (razza canina particolarmente nobile) agli inizi degli anni '20. Il rapporto meraviglioso che si creò fra il padrone e l'animale assunse dei contorni leggendari. Il cane non smise mai di cercare e attendere il professore, colto da un malore letale, alla fermata ferroviaria, luogo in cui per caso sbocciò questa forte amicizia. Nel nuovo adattamento il protagonista umano diventa il professor Parker, interpretato da Richard Gere, che insegna musica all'università ed è costretto giornalmente a fare il pendolare sul trenino che lo porta sul posto di lavoro. Il tenero cagnolino dagli occhi dolci spunta provvidenzialmente da una gabbietta sfuggita al portapacchi della stazione e non fa molta fatica a conquistare il cuore dell'uomo che, dopo molte insistenze, riesce a imporre il nuovo ospite alla sua famiglia. Il tempo scorre felice, l'album dei bei ricordi si arricchisce di esperienze, giochi e passeggiate fino al momento in cui il piccolo Hachi (il nome gli è stato dato in omaggio alla sua origine orientale) avverte l'arrivo dell'ultimo giorno per il suo padrone. Il professor Parker crolla incredibilmente per un colpo improvviso davanti ai suoi studenti e non fa più ritorno a casa. Il piccolo Hachi accetta la solitudine di randagio, sfugge all'affetto sincero dei suoi nuovi padroni, ma continua a mantener fede alla tradizione che lo voleva giornalmente alle cinque del pomeriggio davanti a quella stazione. Per dieci lunghi anni continuerà a farlo, sfidando il corso delle stagioni, nel tentativo vano di ritrovare il suo padrone, diventando per tutti gli abitanti del quartiere un piccolo grande eroe (nella stazione Shibuya gli hanno tributato una statua bronzea a futura memoria) .
Lasse Hallstrom piega con onestà e determinazione la pellicola al volere di un cinema buonista d'altri tempi, adatto a tutte le età. La favola struggente di un cane eroico accarezza l'anima dello spettatore, scalda lo spirito, facendo volentieri a meno dei furbeschi e rischiosi abusi di melassa. Il regista svedese è riuscito ad equilibrare con maestria il sovraccarico di zuccheri, strizzando l'occhio ad uno stile profondo e raffinato, qui espresso alla grande attraverso le luci calde di Ron Fortunato e le malinconiche musiche al piano suonate da Kazmareck. E non è mica detto che l'abilità con cui l'autore riesce a gestire la commozione sia frutto di una premeditazione commerciale: la pregevolezza tecnica è abbastanza lampante. Il cane che toglie la scena ad un grande attore come Richard Gere è la prova concreta che il cinema dell'azione visiva gode ancora di ottima salute. Sfruttando il fascino sincero di una storia straordinaria e forte, "Hachiko" vola alto con mezzi semplici e poco artefatti. Chi ha il cuore di pietra ed è restìo alle complicazioni delle umane sofferenze, giri pure l'angolo. In questo periodo le alternative giuste non mancano.
Cinema Alfieri, Corato - 1 Gennaio 2010 (Barisera) |