Nel gergo internautico l'"Avatar" è l'immagine fittizia scelta dall'utente in sua rappresentanza. E' in parole povere la carta d'identità virtuale che si utilizza nei luoghi di intrattenimento: dai forum, agli scambi di informazione, per finire con i giochi online. E' un termine che deriva dal sanscrito e che nel significato originale si riferisce alla reincarnazione divina nei comuni mortali. In ambito cinematografico "Avatar" di James Cameron è il film destinato, lo dicono i flani e le frasi di lancio, a cambiare radicalmente la concezione di questa forma d'arte nel nuovo secolo. E' tecnicamente uno dei progetti più ambiziosi e costosi che la storia del cinema ricordi, ma allo stesso tempo è a sicuro alto tasso di rendimento. A fronte dei quasi 250 milioni di dollari investiti per realizzarlo, il prodotto finito si appresta a decuplicare gli introiti. La circostanza che ripete così il successo planetario di "Titanic", accentua il delirio di onnipotenza del suo autore che, viaggiando alla media di un film ogni dieci anni, ha rilanciato il concetto di rivoluzione industriale in un panorama desolato e sonnolento con l'entertainment ridotto a bene esclusivo per pochi intimi. Diciamo subito che "Avatar" impone a chi scrive la scelta coraggiosa di uno schieramento. Si può stare da una parte o l'altra della barricata, ma non nel mezzo. Il concetto di cinema strettamente vincolato al box office detta regole assurde, quasi sempre funzionali: sottoporsi alla martoriante campagna pubblicitaria, sostenere la causa del 3D, mettere da parte la nostalgia e i ricordi legati ai capolavori del passato (e si che "Viaggio allucinante" di Richard Fleischer si ritrova ad essere una volgarissima, obsoleta macchietta fantascientifica), farsi contaminare tacitamente dalla nuova magia di un cinema che può fare volentieri a meno della macchina da presa. Rimasto nel cassetto per quasi quindici anni, spesi in attesa che il progresso facesse le conquiste necessarie, il progetto di James Cameron ricostruisce un futuro prossimo venturo di lotte all'ultimo respiro per accaparrarsi le risorse utili alla sopravvivenza. 2154: I terrestri cattivi minacciano la sorte di Pandora, pianeta tranquillo e ricco di un minerale prezioso, abitato da energumeni indigeni bluastri, escogitando una sorta di cavallo di Troia: soldati nuovi di zecca, clonati fra la razza umana e quella aliena, destinati ad infiltrarsi nella vita sociale dei Na'vi per carpire segreti e punti deboli. Jake Sully (Sam Worthington) viene arruolato da un generale guerrafondaio per portare guerra certa nell'Eden incontaminato dove l'uomo non è in grado di respirare senza apposite maschere. Nel portare avanti la sua missione il povero soldato che guida a distanza il suo "avatar", resta affascinato dalla bellissima guerriera Na'vi che lo accoglie. Si ritrova combattuto fra indole umana e spirito dei nativi e dovrà scegliere. Come in tutte le brutte favole che hanno raccontato la ferocia del mostro terrestre, il destino anche qui sarà beffardo: sarà proprio Jake a guidare il suo clone a capo della rivolta contro i suoi simili.
Capolavoro che ha pochi precedenti nella storia del cinema fantascientifico, "Avatar" regala in uguale misura eccitazione e noia. Tecnicamente ineccepibile e valorizzabile solo attraverso la fruizione delle nuove frontiere, è un film che si svela in una freddezza che non riesce quasi mai a conquistare lo spettatore oltre il suo dominio audiovisivo. Stupore e meraviglia pianificati, come tradizione vuole, dall'esperienza del Cameron imbonitore, per un giocattolo scintillante che sotto sotto nasconde la stessa intelaiatura di capolavori del cinema passato come "Balla coi lupi", "Soldato blu", "The new world", "La foresta di smeraldo". Le quasi tre ore di proiezione rafforzano l'impresa da parte dello spettatore, compromettendo il suo coinvolgimento. Furbesco e dal respiro corto il messaggio antimilitarista: nel suo ampio sguardo rivolto al futuro, "Avatar" risente le imperfezioni di un film antico.
Uci Cinemas, Molfetta - 17 Gennaio 2010
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