Bisognerebbe stabilire il grado di sensibilità da parte dello spettatore al quale l'autore si appella nella salomonica e roboante premessa che apre il suo film. Definito in partenza "brutto" e insolito per via dello stile di cinema verità che scaraventa nella mischia il mirino della macchina da presa, l'opera prima di Fabio Bastianello (allievo di Olmi?) rischia di entrare nel guinness dei primati dalla porta secondaria. Un intero film in presa diretta con un lungo piano sequenza senza stacchi (così pare) che eredita il format dai reality, poi però la realtà la mistifica. Tentativo penoso e maldestro di penetrare nel vivo del triste ed irrisolto fenomeno della violenza negli stadi, "Secondo tempo" rappresenta tra le altre cose uno dei primi casi di cinema "via cavo". E' un film indipendente distribuito in esclusiva nei circuiti Uci Cinemas (si stenta a credere che possa varcare la frontiera di altri circuiti di noleggio), un progetto con premesse allettanti, ma dagli esiti imbarazzanti. Il perchè va ricercato nella pretesa, da parte del giovane regista esordiente, di poter reggere il gioco pesante per circa due ore di durata. Il miraggio di poter unire sperimentazione e cassetta. Immaginate un lungometraggio realizzato a camera fissa con visuale soggettiva del protagonista principale. La variante è rappresentata dallo split screen con diverse angolazioni di ripresa (in gergo: l'angle), con immagini importate da altre telecamere. In tutto questo l'assenza di una sceneggiatura, l'ampio spazio all'improvvisazione, dialoghi che si avvitano inevitabilmente per rappresentare meglio lo sciatto scenario subumano del tifo in curva. Verrebbe davvero voglia di disertare il secondo tempo e non certo solo per colpe dell'autore. Ma andiamo avanti: il protagonista del film è un poliziotto infiltrato da due anni in una frangia violenta del tifo organizzato. La sua missione (lo si scoprirà dopo) è quella di stare col fiato sul collo di un ex galeotto che frequenta la curva e si dimena con impeto e violenza senza curarsi della partita. Durante un match di campionato nella seconda frazione accade di tutto: la squadra di casa prima pareggia, poi va in svantaggio per un rigore dubbio (tutto questo lo si intuisce). Gli animi si scaldano, le tifoserie vengono a contatto ed in seguito al furto di uno striscione lo stadio si trasforma in una bolgia. La copertura del poliziotto in borghese rischia di saltare: un "cliente" del G8 comincia ad osservarlo con insistenza, fino a risalire alla sua vera professione. Smascherato dai suoi nuovi nemici che vogliono fargli la pelle, al povero agente di stato non resterà che subire la violenza nella speranza che arrivino rinforzi.
Girato allo stadio olimpico di Torino, senza mai mostrare un fotogramma della partita di calcio, il film cerca di penetrare dal vivo il codice d'onore che regola le gerarchie della curva: la supremazia del leader, la mentalità ultras, l'impossibilità di controllare la violenza quando scoppiano gli scontri. Tutto questo però attraverso due ore insostenibili di raccapricciante anti-cinema. L'autore dilata il suo interessante reportage sulla falsariga degli scoop delle "Iene": telecamerina nascosta, immagini spesso in movimento, sottotitoli colorati per i fini conoscitori della lingua italiana. Il lunghissimo metraggio paga il dazio, concretizzando male le sue pretese di analizzare un triste fenomeno sociale. E così il film si perde, finendo nel baratro, in un tentativo coraggioso che tocca vette altissime di pretenziosità. Fra attori esordienti e non professionisti le regole elementari del buon cinema si volatilizzano. Resta la cenere di un'operazione inadatta ai canoni del cinema commerciale e sperimentale. E' uno scempio che corrompe almeno tre sensi su cinque, assumendo per lo spettatore interessato al tema, i caratteri di un'impresa estenuante ed improponibile.
UCI Cinemas, Molfetta - 23 Aprile 2010 |