L'Italia è un paese curioso, a volte in debito con i principi elementari di civiltà, e certi retroscena vanno svelati nell'imbarazzo di lacrime e sorrisi. Quello che è capitato al regista Felice Farina (regista romano cullato dalla sperimentazione, spesso a servizio del piccolo schermo) ha dell'incredibile ed è fedelmente riportato in un significativo documentario di Valerio Jalongo ("Di me cosa ne sai") sulla attuale situazione culturale del nostro paese, apparso fugacemente sugli schermi ad inizio stagione dopo l'anteprima veneziana. "La fisica dell'acqua" giunge miracolosamente nelle sale (solo due copie in Puglia) dopo una lavorazione travagliatissima. Un film quasi pronto nel 2004, produttori che escono di scena per bancarotta, lasciando il girato nel bel mezzo di una curatela fallimentare, con la troupe abbandonata in un mare di guai. Il regista in disarmo che per ultimare il suo lavoro deve per forza di cose entrarne in possesso e quindi acquisirne i diritti. Triste peregrinazione nel deserto dei fondaroli (gli addetti all'esproprio di fondi pubblici) alla ricerca di nuovi produttori, ovviamente assenti. Un estenuante braccio di ferro con un nemico oscuro: l'incultura. Dopo un'odissea durata quasi sette anni il regista Felice Farina apre la tenda sul prodigio e accompagna la sua creatura verso il suo destino naturale: uno schermo bianco. Il film è pronto per essere condiviso e giudicato dal pubblico. Il preambolo mostra le macerie di un'industria cinematografica che, a quanto pare, è destinata a scomparire. Il triste calvario sulle spalle di Farina lancia un disperato segnale di trasformazione in un cinema italiano che non respira. Non esiste più il piccolo cinema indipendente; il lungo bavaglio spezza la voce di onesti professionisti costretti a mendicare un diritto di espressione. Fra un pizzico di solidarietà e qualche pacca di incoraggiamento, il film di Farina trova la sua meritata accoglienza morbida. "La fisica dell'acqua" è una triste favola che rimanda in un certo senso ad alcuni spunti della tragedia classica (quella greca, ma anche quella shakesperiana). Il piccolo Alessandro (Lorenzo Vavassori) è un bambino in gamba, orfano di padre, che vive con la mamma (Paola Cortellesi) in una casa sulla riva di un lago. E' idrofobo, vive un rapporto conflittuale con l'acqua che ritrova spesso nei suoi incubi. L'equilibrio familiare è spezzato dall'arrivo dello zio Claudio (Claudio Amendola), venuto da lontano a rivendicare con prepotenza i suoi diritti economici sulla proprietà (e non solo). Incombe sul povero Alessandro il rischio di vedere la casa natale venduta per placare le pretese del suo ambiguo parente. E, suo malgrado, è costretto ad accettare l'imposizione di una convivenza forzata con un falso uomo di casa, coperto da atteggiamenti ingannevoli, che nasconde più di uno spiacevole segreto e che fa esplodere in lui un naturale sentimento di gelosia. Alessandro rivive il suo trauma, ricompone i pezzi del passato per poi trovare la ragione che lo tiene lontano dall'acqua. La memoria, scrigno del bene e del male, svelerà particolari atroci nasconsti nell'angolo buio di un passato che riaffiora.
Si parla forse con retorica della crisi del cinema, quando bisognerebbe preoccuparsi della morsa della globalizzazione che stringe irrimediabilmente onesti artigiani che si affaticano come Felice Farina, capaci di lasciarsi seguire con passione attraverso percorsi emozionali stimolanti e innovativi. Ecco allora un thriller psicologico, un poliziesco, un dramma familiare, un film dalle molteplici sfumature. Un'operazione fuori dal coro, per stile e intuizioni. Quello che colpisce in questo lavoro ben fatto, a parte l'uso elaborato e raffinato del mezzo cinematografico, è il respiro ampio in fase di scrittura che facilita la narrazione. Come lo ha definito il co-sceneggiatore Mauro Casiraghi, "lo scopo del racconto cinematografico è quello di rendere visibile l'invisibile". Ed infatti il film di Farina scandaglia l'angoscia di un terribile segreto, l'innocenza che si trasforma in pericolo latente. Un film servito da buoni attori, dalla buona fotografia di Pietro Sciortino, da luoghi inediti di un'Italia lacustre (Verbania, Lago Maggiore) che avvolgono l'anima. Torbido ed inquietante, ravvivato da una robusta struttura, è un film anomalo per l'attuale panorama italiano, da vedere assolutamente.
Cinema Piccolo, Santo Spirito - 1 Maggio 2010 (Barisera) |