Claudio (Elio Germano) ed Elena (Isabella Ragonese) sembrano aver mutuato le generalità di Anna e Marco, protagonisti della bellissima canzone di Lucio Dalla. Elena permalosa, bello sguardo che ogni giorno perde qualcosa. Claudio, cuore in allarme, poca vita, sempre quella. Operaio edile con due figli a carico e un terzo che sta per arrivare, crede nella famiglia, si spupazza la bella e giovane moglie in dolce attesa come un ragazzino innamorato, sgrana gli occhi negli spazi immensi e illuminati del grande centro commerciale che è un pò il capolinea di tutti i suoi sogni. Se la luna è una palla e il cielo è un biliardo, la "vita" per un manovale che vive in affanno la realtà della Bufalotta, quartiere romano di periferia, può davvero ridursi nel quantificare la felicità aspettando un'offerta speciale. Accade però una tragedia imprevista (la moglie Elena muore dando alla luce il bambino) e il destino di Claudio subisce una scossa. Esasperato, appunto, dal desiderio di colmare l'infelicità con il benessere, il bravo ed onesto lavoratore capisce che per fare la grana deve mettersi a braccetto con i mascalzoni. E così, illudendosi di conquistare rapidamente l'agiatezza per colmare la mancanza della compagna, si fa subappaltare dal suo capomastro una palazzina, e comincia a fare il padrone. Mezzucci, magagne e soldi presi a strozzo, ma anche extracomunitari inconsapevolmente sfruttati che fanno parte del gioco. Claudio sbatte il grugno a stretto contatto con problemi insormontabili, mettendo da parte la famiglia: il fratello maggiore che vive da solo in riva al mare, la cognata che continua ad essergli legata, l'ultimo nato portato come un pacco postale da una casa all'altra. E poi l'inevitabile caduta, cui fa seguito la ripresa. La maledetta vita operaia non gli lascia scampo, ma lo spavento contribuisce alla sua maturazione. Alla fine saranno proprio i suoi cari gli artefici della sua provvidenziale salvezza.
Unico film italiano in concorso a Cannes, "La nostra vita" abbina il nuovo realismo di questo primo decennio con l'impegno sociale: unica risorsa attendibile di un paese che si riesce ormai a raccontare solo da un'angolazione buia. Daniele Luchetti chiama a rapporto Rulli e Petraglia per raccontare con estremo rigore la caduta e la risalita di un infelice "figlio del nuovo secolo" che dà un valore di mercato alle cose e che si sacrifica per la conquista dei beni materiali. Le aspirazioni con lo scontrino alla cassa. E così un film interessante ma irrisolto, ricco di personaggi spesso abbandonati a se stessi, ricade sulle spalle esili ma resistenti di un giovane attore italiano, Elio Germano, che riesce ad armonizzare l'impegno con la bravura. Naturalezza, convinzione e istinto sono solo alcune delle frecce al suo arco. Un attore strepitoso capace di dare credibilità alle forzature (esemplare la sequenza dell'ipermercato in cui si illude della maturità dei figli, facendoli pagare soldi alla mano). Il film ha comunque una rapidità incompatibile con alcune sue scelte narrative che non chiudono porte spalancate. Tuttavia colpisce l'asciuttezza di Luchetti, che conosce benissimo la realtà delle speculazioni edilizie che racconta, un inconfutabile rigore con il quale porta alla luce la parte nascosta dei figli legittimi della nuova crisi. Un campionario di sentimenti ridotti all'essenziale, alla sopravvivenza. Straordinaria la trasformazione per il ruolo del pusher invalido affidata ad un incommensurabile Luca Zingaretti: disperato mercante di morte, con l'attenuante della sopravvivenza, capace di addolcirsi cullando un neonato. Un cinema italiano che lava i panni sporchi di casa fuori dal coro e, inevitabilmente, per l'ennesima volta fuori dalle regole di mercato.
UCI Cinemas, Molfetta - 22 Maggio 2010 (Barisera) |