Gli assordanti silenzi di madre natura interrotti dal dolce rumore della vita: lo scampanellio di un gregge in movimento nella quiete boschiva, il fruscìo del vento, il belato di un capretto appena nato, la tosse di un pastore stanco e malandato, il motore di un camioncino che arranca in salita. La lezione di cinema concessa da Michelangelo Frammartino, che ha dato lustro al nostro tricolore, all'ultima "Quinzaine" colmando i vuoti di una degna rappresentanza italica, vanta comunque precedenti illustri che hanno reso gloria al racconto per immagini. Limitarlo nella affrettata definizione di "documentario" con taglio naturista appare uno sforzo inutile, riduttivo e fuori luogo. Il regista sembra seguire la stessa traccia solcata da Vittorio De Seta, Franco Piavoli e Ermanno Olmi (pensiamo a "Il pianeta azzurro" e "Il segreto del bosco vecchio"). La rappresentazione di uno scenario astratto e poetico con il racconto che vive e respira attraverso il realismo degli eventi naturali. "Le quattro volte" racconta con discrezione e magia il ciclo delle stagioni, con la macchina da presa piazzata (in prevalenza sui tetti uniformati dalle romantiche tegole) in un piccolo paesino calabrese (siamo nella zona del Pollino). Nel primo frammento un anziano pastore vive con metodo assoluto il suo duro mestiere: si trascina faticosamente nella magia dell'alba, passeggiando con il suo gregge, accarezzando le lumache nel paiolo, illudendosi di trovare "rimedio" nella polvere raccolta in chiesa dalla perpetua che scioglie nell'acqua prima di addormentarsi. Il suo destino è segnato: il giorno in cui si verificano strani presagi, il vecchio pastore viene strappato via dalla morte. Al buio segue la luce: la nascita di una capretta che si adegua giorno per giorno alle regole del gregge per poi smarrirsi nel bosco. Nel terzo frammento seguiamo gli ultimi giorni di un maestoso castagno: depredato dai boscaioli per una festa in paese viene poi fatto a pezzi e consegnato ai "carbonai" per l'ultimo frammento: la lavorazione del legno accatastato con cura meticolosa per la produzione del carbone. Il cerchio si chiude sull'immagine di apertura: i focolai della paglia in cenere che caccia fumo dai piccoli crateri.
Spettacolo imperdibile ed estremo, "Le quattro volte" sfrutta al massimo la capacità del suo autore di giocare con i sensi dello spettatore, trascinandoli per un'ora e mezza nella magica astrazione di luoghi arcaici. Tutto il mondo sembra ritrovarsi nei respiri, nei rumori di fondo, nella realtà di un luogo fiabesco: il paesino dove un cane abbaia e scondizola, dove un vicolo si anima lentamente per accogliere la processione, dove l'ingegnoso perfezionismo operaio dei boscaioli ha dato tempi straordinari al proseguimento di un'antica arte. E' un tipo di cinema che richiede la massima attenzione e, di conseguenza, un carico di devozione. Sacrifici irrilevanti se paragonati al risultato finale: un lavoro curato nei minimi particolari, con intuizioni registiche talvolta perfino innovative, che ci consente di abbracciare la natura, rivolgendogli sguardi particolari e occhi più attenti in segno di profondo rispetto. Cinema nobile, austero, che si piega alle esigenze del senso vero di quest'arte. Inevitabilmente raro, estremo, arduo da scovare.
Cinema "Il Piccolo", Santo Spirito - 13 Giugno 2010 |