L'ultimo lavoro di Alfonso Arau riapre la vecchia questione fra fermezza di stile e fragilità di racconto, fra forma e sostanza. L'imbroglio nel lenzuolo è la metafora che sintetizza volgarmente la prodigiosa magia del cinematografo: proiettare sogni e illusioni su un telo bianco, contraffarre la realtà adattandola ai desideri e ai gusti della platea. La vicenda, che traspone l'omonimo romanzo di Francesco Costa (ed.Salani), è ambientata ai primi nel '900 in un paesino siciliano. Federico (Primo Reggiani) è un ragazzo svogliato ma allo stesso tempo pieno di iniziativa: frequenta senza convinzione la facoltà di medicina ma, non sopportando la vista del sangue, sa già di aver sbagliato mestiere e di non avere un futuro assicurato. Grazie a sua madre, che suona il pianoforte per garantire il commento sonoro alle pellicole mute proiettate al tabarìn, si lascia incantare dalla nuova invenzione del secolo: una manovella che gira, una pellicola che scorre illuminata da una lampada magica. L'occasione è straordinaria: mettere in gioco la sua fantasia come direttore di scena, collaborando con l'impresario Gennarino Pecoraro (Ernesto Mahieux) per la realizzazione di una nuova pellicola ("la film", al femminile) da presentare ai suoi concittadini. Combattuto fra il rigore della dignità artistica e le tentazioni del proibito, Federico decide di girare un omaggio de "La casta Susanna", rubando letteralmente le immagini all'insaputa di una procace e sensuale condadinotta (Maria Grazia Cucinotta) che si ritrova immediatamente bersagliata dalle dicerìe di paese. Il grande imbroglio sviluppo e stampa coinvolgerà anche una ricca e piacente aristocratica francese, segretamente innamorata del ragazzo, che mal sopporterà l'inevitabile competizione per il ruolo di eroina svestita nell'attesissima pellicola d'esordio. Ma il lieto fine placherà gli animi della comunità: quest'arte ingannatrice, forse, tornerà a far discutere.
Un generoso ma esitante Alfonso Arau mette la sua esperienza a servizio di un'esile vicenda, realizzando un affettuoso e genuino omaggio agli albori del cinema. Il film ricorda per molti aspetti un lavoro televisivo del compianto Gianfranco Mingozzi ("La vela incantata", 1982). Esterni incantevoli e locations suggestive arricchiscono una vicenda dal complesso e dispendioso allestimento scenico (scenografia e costumi) che non si fa mancare nulla. A cominciare da un curioso ed eterogeneo raduno di cast internazionali (spicca una ritrovata Anne Parillaud) che spazia dalla severa Geraldine Chaplin alla sciantosa Nathalie Caldonazzo. "Cinematografato" da Vittorio Storaro è un tentativo apprezzabile, ma non pienamente riuscito, di omaggiare la "belle epoque" attraverso la rievocazione del passaggio nostalgico dal palcoscenico alle immagini in movimento. I limiti di una Maria Grazia Cucinotta piena di buona volontà che, all'atto pratico, rifà pari pari il ruolo di bella e sventurata popolana dell'ultimo film di Cugno ("La bella società") sono vivacizzati dalla sua intraprendenza nella veste insolita di produttrice. Ma il film appare troppo laccato e televisivo per non riuscire ad evitare il classico scontro frontale con altri autori che hanno raccontato gli albori della cinematografia come fenomeno popolare. Autentica ed azzeccata la maschera dell'impresario allegro e gaudente cucita addosso ad un esilarante Ernesto Mahieux, retto dall'ombra della sorella puritana Giselda Volodi, dal volto antico, una delle poche attrici italiane capace ancora di sorprendere.
Cinema Alfieri, Corato - 16 Giugno 2010 (Barisera) |