Anche i giocattoli hanno un'anima. Sulla base di questa intuizione geniale la Pixar, rinomato vivaio di talenti con il pulsante della fantasia sempre acceso, ha ricavato una trilogia che a quindici anni di distanza dal primo film sposa finalmente solo ora la causa (divenuta nel frattempo tendenza) del 3D. Sforzo inutile, dal momento che è ormai accertato che la tecnologia sofisticata può fornire oggettivamente soltanto un timido contributo alla riuscita di un prodotto. Se non si hanno buone storie da raccontare e se l'estro è appannato dall'affannosa rincorsa alla razzia al box-office, il nulla tridimensionale resta sempre tale e si avvia verso una giusta svalutazione. Ed invece i formidabili architetti della gloriosa azienda americana, senza strafare, riescono a chiudere uno dei capitoli più riusciti della serie. Il cowboy Woody e l'astronauta Buzz, giocattoli diversi ma uniti da simpatia ed amicizia, sono i leader indiscussi dei giocattoli di Andy. Il loro "padroncino" però è ormai diciassettenne e si appresta a partire per il college. Strano destino quello dei compagni di giochi di plastica: passata l'età spensierata o finiscono in soffitta o nel cestino dei rifiuti. Per un caso fortuito il colorito gruppo di giocattoli di Andy viene recapitato in donazione ai pestiferi bimbi di un asilo. Stressati dall'impetuosa vivacità dei nuovi padroni e consapevoli di appartenere comunque ad Andy, che probabilmente è ancora legato ai ricordi di infanzia, gli ospiti malcapitati cominciano a pianificare la fuga. La convivenza nell'asilo è complicata infatti dal rapporto non facile con i nuovi colleghi, capeggiati a loro volta da un ambiguo e frustrato orsacchiotto rosa che ha trasformato l'istituto in un piccolo, invivibile lager. Grazie al provvidenziale intervento di Woody e per merito di uno spirito di gruppo ravvivato dall'affiatamento, con Buzz che per un difetto di funzionamento comincia a parlottare in lingua spagnola (trovata spiritosissima), i giocattoli riusciranno a ritrovare la strada di casa e a riconciliarsi con l'ometto Andy che prossimo alla partenza, suo malgrado, dovrà necessariamente cederli ad un nuovo affidabile padroncino.
Inventiva, ritmo ed ironia continuano ad essere dei punti fermi d'un marchio di fabbrica che gode ormai della piena fiducia dei fans appassionati. In "Toy story 3" permane tuttavia una vena malinconica segnata dal passaggio obbligato dalla giovinezza alla maturità, circostanza sottolineata più volte con l'accelleratore pigiato sul filtro nostalgico. Non tutti gli aspetti complessi (in fase di scrittura) di questa nuova puntata riusciranno a far breccia nello sguardo disincatanto e rilassato dei più piccini. Gli adulti, tuttavia, avranno modo, attraverso qualche lacrima spontanea, di soffermarsi sul tempo speso con i giocattoli in cameretta e sull'opportunità ormai scarsa di riuscire a regalare alle nuove generazioni emozioni altrettanto autentiche. Velato dal solito mantello tradizionalistico con il quale l'America si illude di preservarsi dalle minacce del futuro, il testimone passato da John Lasseter a Lee Unkrich non registra rilevanti cambi di rotta. Più frequente il gioco spiritoso di citazioni cinematografiche (l'incipit spielberghiano viene da "Indiana Jones e l'ultima crociata"), omaggi diretti ed indiretti al cinema emozionale (fra i personaggi si segnala il cameo di Totoro, creatura del disegnatore giapponese Miyazaki) e una giusta riduzione di numeri musicali. Gli occhialini diventano, grazie ad una siffatta abbondanza di risorse naturali, davvero un accessorio superfluo. Il film regala comunque con uguale intensità le stesse magie anche ai meno esigenti fedelissimi del bidimensionale. E questo benefico concentrato di purissimo succo per l'ingegno spalanca, come è giusto che sia, le porte al rilassamento e al divertimento naturale che è uno dei principi fondamentali del linguaggio cinematografico. Verso l'infinito, ed oltre.
Uci Cinemas, Molfetta - 11 Luglio 2010 (Barisera) |