Il cinema italiano cela curiose storie da raccontare, legate alla lavorazione di pellicole travagliate, invisibili, occultate da infelici destini produttivi. "Arcana" di Giulio Questi ne è una dimostrazione piuttosto eloquente. Realizzato con una piccola troupe, grazie al sostegno di Gaspare Palumbo, piccolo ed occasionale produttore indipendente, da una collaborazione del regista bergamasco con il compianto Kim Arcalli, andò in stampa con pochissime copie perchè nel frattempo il committente era fallito. La circostanza incresciosa contribuì allo smantellamento immediato nelle sale (dove di fatto "Arcana" ci arrivò in piena estate), mentre l'unica copia superstite venne miracolosamente archiviata in Cineteca Nazionale. Trattasi quindi di perla nascosta, e non per questioni di censura, sottratta agli spettatori del tempo, ma riportata alla luce grazie alla provvidenziale operazione di recupero del cinema italiano di genere. Il film è ricco di intuizioni geniali e si rivolge allo spettatore, grazie alla curiosa didascalia d'apertura, con lo spirito avvincente di un gioco audiovisivo da scacchiera. Giulio Questi (classe 1924) aveva già fatto coppia fissa con Arcalli per le sue innovative pellicole precedenti: "Se sei vivo spara" (1967), passato alla storia come la pellicola più violenta e morbosa nella lunga stagione dello spaghetti western e "La morte ha fatto l'uovo" (1967), bizarra operazione ispirata dalla nouvelle vague italica che contaminò lo stile di parecchi autori di quegli anni.
In "Arcana" si racconta la storia della famiglia Tarantino: madre (Lucia Bosè) e figlio (Maurizio Degli Esposti) convivono in una dignitosa abitazione d'un quartiere periferico di Milano. Sono emigranti meridionali che l'improvvisa scomparsa del capofamiglia, perito sul lavoro, ha costretto a ricorrere a fonti di sostentamento alternative. Attraverso inserzioni sul giornale la madre si improvvisa fattucchiera e veggente: legge le carte, propina filtri d'amore. La casa è tutto un viavai di clienti occasionali, folli e disperati che si ritrovano spesso riuniti in spaventose "catene" guidate dalla padrona di casa in veste di sensitiva. Di notte mentre la donna si lamenta e si dimena, in cucina avvengono strani eventi di telecinesi, e il figlio, sempre più posseduto dalla curiosità per le arti magiche (nonostante la madre lo abbia più volta disilluso sull'attendibilità del suo mestiere), comincia a seminare scompiglio nel circondario violentando una promessa sposa (Tina Aumont) poco convinta. In un epilogo farneticante e malsano, guidati dalla melodia rituale d'un violinista che improvvisa una taranta macedone, alcuni braccianti danzano in cucina. Mentre un asino viene issato davanti ad una chiesa, dalla bocca della veggente fuoriescono rane saltellanti e dal cortile sottostante si odono tafferugli e colpi d'arma da fuoco...
Nel panorama comunque coraggioso del cinema di quegli anni il tentativo di Giulio Questi va ad aggiungersi come prezioso tassello d'un luccicante mosaico. "Arcana" è un film ricco di intuizioni, colto e sinistro. L'autore mette in luce nozioni di alchimia, disquisizioni arcaiche sul rapporto inesplicabile fra realtà e esoterismo e cerca di spostare la sua indagine in una periferia, luogo d'incontro ideale (e di frattura) di una campagna (brulla e deserta) contaminata dal cemento dei caseggiati. Così diventa emblematica la sequenza dell'apprendista stregone che si reca in centro a tagliuzzare l'erba spontanea che sbuca dai marciapiedi fra l'imbarazzo dei passanti. Colonna sonora essenziale e determinante di Romolo Grano e Berto Pisano: partitura ricca di brani ipnotici che enfatizzano il fascino delle immagini. Generosa e insostituibile Lucia Bosè nei panni di ambigua, sciatta e affascinante matrona in vestaglia, dagli insani propositi.
20 Ottobre 2010 |