La realtà, si sa, offre spunti più ghiotti della stessa fantasia. "Fair game", unico film americano presentato in concorso all'ultimo festival di Cannes, si ispira all'incredibile "affair Plame", che coinvolse nel 2003, anno del conflitto in Iraq, i servizi segreti e una coppia che agiva sotto copertura per accertare la corsa agli armamenti da parte del leader Saddam Hussein. Doug Liman, regista di "The bourne identity", sceglie l'unica pista percorribile: evitare le compiacenti accellerazioni della spy story d'azione, cercando di circoscrivere i fatti descritti all'interno dei luoghi dove si svolsero. Il film pertanto presenta un'oculata analisi degli eventi che seguirono l'11 Settembre 2001. La propaganda Bush, motivata dalla caccia agli aggressori e dalla persecuzione del terrorismo islamico, la ritorsione immediata, la strategica fuga di notizie per scatenare un nuovo allarme atomico. In questo scenario confuso ed oscuro i coniugi Valerie Plame (Naomi Watts) e Joe Wilson (Sean Penn) agiscono in silenzio, seguendo la prassi dell'Intelligence, contattando informatori ed alleati per fare chiarezza sul traffico d'armi. Ma la presunta esistenza di armi di distruzione di massa, non del tutto dimostrabile, basta ugualmente a motivare la dichiarazione di guerra di Bush all'Iraq nel 2003. Mentre il sangue comincia a scorrere, per puro scrupolo il diplomatico Wilson pubblica un articolo in cui prende personalmente le distanze dalla possibile veridicità delle relazioni inglesi sull'esistenza in Iraq d'un traffico di uranio arricchito. Inizia una campagna denigratoria, orchestrata a regola d'arte da alcuni membri dei servizi, per svelare l'identità sotto copertura di Valerie e Joe, offrendoli in pasto all'opinione pubblica (gli stessi amici ignoravano la loro reale occupazione). Perseguitati come nemici filocomunisti e teorici d'un complotto antipresidenziale, per un lungo periodo di crisi con conseguente carriera compromessa, i due seppero resistere agli attacchi politici attuando una mirata campagna di difesa. Braccio di ferro che si risolse con l'effettiva condanna dei responsabili di diffamazione e che gettò molte ombre sulla violenta politica estera di Bush.
La presenza in concorso a Cannes è motivata da un rigore formale che rende irriconoscibile il tocco di Doug Liman, autore molto più a suo agio con il dinamismo e la spettacolarizzazione dell'action movie. Thriller politico attuale e disturbante, "Fair game" mette a nudo l'omertà che si respira nei piani alti, e pone atroci interrogativi su anni di inutile spargimento di sangue. Alcuni intricati meccanismi all'interno dell'Intelligence e il potere occulto di pochi uomini per modellare e spostare a piacimento l'opinione pubblica sono solo alcune brillanti intuizioni di uno spettacolo molto vicino alla tempistica di una piece teatrale che ad un preciso modello cinematografico. Naomi Watts e Sean Penn riproducono fedelmente i due sfortunati ex agenti che vissero sulla loro pelle un disagio pari solo alle persecuzioni maccartiste. Il rigore e la cura di Doug Liman, pur sottraendo vivacità all'insieme, riavvicinano la pellicola al cinema liberale e impegnato dei vari Sidney Lumet e Alan J.Pakula. L'atmosfera retrò crea un sorprendente e gradevole effetto nostalgico che aiuta a scongiurare il ritmo lento. Peccato per il trailer bugiardello che lo spaccia per una movimentata spy story alla "Bourne", appunto. La caccia alla spia è consentita, infatti, con pallottole a salve e l'ausilio di un ottimo silenziatore.
UCI Cinemas, Molfetta - 24 Ottobre 2010 (Barisera) |