"La versione di Barney" riapre il solito dibattito logoro sull'imprevedibilità della relazione fra romanzi di successo e trasposizioni non sempre all'altezza. E sui diversi destini, a volte amarissimi, che ne derivano. Il bestseller scritto nel 1997 dal canadese Mordecai Richler (scomparso nel 2001), importato in Italia quattro anni dopo per una tiratura record con l'edizione Adelphi, per ricchezza di spunti sembrava destinato a finire prima o poi sul grande schermo. Ma l'accoglienza non è stata delle migliori, certamente non paragonabile al successo in libreria. Collocato quasi in extremis fra l'affollato concorso nell'ultima mostra cinematografica di Venezia, come pellicola di chiusura, ha raccolto in realtà meno di quanto avrebbe meritato. Miglior sorte non gli è capitata nemmeno nella tanto attesa uscita in sala. Tre mesi di congelamento sono tanti, così come oscure restano le ragioni che spingono i distributori più coraggiosi (che forse agiscono in nome del cinema d'autore solo per pura filantropia) a non affrontare rischi, pagando il dazio alle scriteriate logiche di mercato. Il film diretto dal tanto discusso Richard J.Lewis, ai quali non hanno perdonato evidentemente qualche piccolo peccatuccio alimentare per il piccolo schermo, è in realtà uno spassoso e irriverente ritratto di un uomo comune, un pò perso in verità nel bosco di inquietudine e piacere nel quale senza saperlo va a fare compagnia al protagonista di un celebre romanzo di Italo Svevo. La "coscienza di Barney" è tormentata dal bilancio di un'esistenza mediocre, consumata fra eccessi e illusori cedimenti verso un'apparente vita normale, mai veramente appagante. Annoiato produttore televisivo, donnaiolo impenitente non per sesso ma per amore, il povero signor B. (Paul Giamatti) ripercorre appunto la sua "versione" dei fatti. Lo spunto è dato da un memoriale pubblicato da un suo nemico che vorrebbe incastrarlo con l'accusa di omicidio (in circostanze misteriose è scomparso un suo carissimo amico). Il protagonista si ritrova così a ripercorrere amori e dolori attraverso tre matrimoni disastrosi: la prima sfortunata moglie, morta suicida, nel cuore dell'Europa a cavallo degli anni '70, un brusco ritorno al continente d'origine per un secondo coraggioso tentativo che termina in un imbarazzante epilogo adulterino che gli consente un divorzio in discesa, non per sua colpa. Ed infine l'amore della sua vita: l'emancipata e matura Myriam (Rosamund Pike), fortemente inseguita e voluta con la costanza riservata agli amori impossibili, che sembra prescelta dal destino per placare l'inaffidabilità di Barney. Ma la felicità, nonostante il conforto dei figli, si ritrova strozzata da ombre, da un insopprimibile disagio che torna a mettere in discussione la vita di coppia. A fare da contorno: un padre impenitente (Dustin Hoffman) che è il trionfo della misoginia, che entra ed esce di scena solo per dare cattivi esempi, mai del tutto inconfutabili e migliori amici, veri o presunti, che guastano la festa, scombussolando il mondo già complicato di suo del povero Barney. Ed altro ancora: un gomito che si alza spesso per annegare nel malto la difficoltà nell'accettare i cambiamenti, qualche letto sbagliato e poi la preziosa vicinanza dei figli abbastanza cresciuti per giudicare e schierarsi. Solo da malato Barney riuscirà a trasformare miracolosamente l'amore di Myriam in quella provvidenziale amicizia che gli consentirà di morire felice...
Un film a stelle e strisce, nel quale si ritrovano i sapori perduti del cinema graffiante, cinico e materialista tipicamente made in Italy. Prodotto e fortemente voluto da Domenico Procacci, il film di Richard J.Lewis merita d'essere adeguatamente rivalutato. Inconsapevolmente monicelliano, scava attraverso il malessere d'un protagonista egoista, tracciando un significativo solco di vitaccia terrena. Pur non avendo la degna cornice d'un capolavoro internazionale, scorre che è un piacere, ma sembra destinato a scalciare, rinunciando ad assecondare i gusti del grande pubblico. Vivace e motivato sotto il profilo della scrittura, vale il prezzo del biglietto solo per la sfida aperta fra un grandissimo Paul Giamatti e un incorreggibile Dustin Hoffman (orientati a piedi verso la grande notte). Girato fra il Quebec, New York e Roma è un film che offre spunti divertenti, analisi sofferte e che va ben oltre le intenzioni del romanzo. Tentazioni di Venere piuttosto incoraggianti: Rosamund Pike e Minnie Driver sono i due opposti della femminilità, ma interagiscono in maniera straordinaria con le nevrosi del protagonista principale. In apparizioni amichevoli, a volte davvero impercettibili senza il conforto del ralenty, si ritrovano cineasti di razza: David Cronenberg, Ted Kotcheff e Denys Arcand. Si respira un clima spensierato, acceso da un cinismo necessario. Ma è sempre in agguato lo spettro della signora con la falce: non sempre è possibile "fare il vento", prima o poi tocca a tutti dover pagare il conto.
Uci Cinemas, Molfetta - 15 Gennaio 2011
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