Nel suo processo costante di massificazione, da anni ormai la tv ha frantumato i margini imposti alla trasgressione, abbattendo barriere, oltrepassando limiti un tempo invalicabili. Trasmissioni e salotti abbandonando i freni inibitori hanno reso meno sbalorditiva del solito la pornografia del reale. Un secolo fa il cinema offriva spiragli di libertà che alla piccola scatola magica non erano concessi. Sul grande schermo passavano messaggi alternativi e venivano dette cose che in televisione non si potevano dire e non solo per ragioni di censura. Oggi che non c'è più nulla che in tv non si possa dire, il cinema sembra aver recuperato un ruolo suppletivo, tornando alle origini, riappropriandosi della sua perduta innocenza, preservando una compromessa integrità, prendendo le distanze dal buio televisivo.
Cetto La Qualunque è l'ennesimo personaggio televisivo traslocato per forza di cose sul grande schermo: le incursioni in pillole, gli allegri siparietti di contorno da varietà vengono per l'occasione dilatati a dismisura per far quadrare una pellicola che costituisce il nuovo "one man show" di un attore bravissimo, di nobile formazione teatrale, chiamato Antonio Albanese, che da anni si destreggia fra impegno e disimpegno. Ed è strano constatare l'obsolescenza di difetti, mostruosità contemporanee e tic di un politicante infimo e perverso che, alla luce dei suoi attuali concorrenti, andrebbe definito "moderato". L'ironia, si sa, è un'arma affilata che può sferrare pesanti attacchi ma nel film di Manfredonia con spirito guascone e sguardo cinico si ritrova a malincuore una fetta consistente dell'Italia che ci aspetta una volta abbandonata la poltrona dell'ultima fila.
Cetto (Antonio Albanese) torna alla sua natìa Calabria dopo qualche anno di detenzione "alberghiera" all'estero, richiamato dagli amici degli amici per assumere un incarico che non può rifiutare. Principe inconstratato dell'illegalità e maestro del raggiro, si porta dietro la nuova compagna sudamericana (che chiama sbrigativamente "Cosa") con figlioletta naturale, mandando su tutte le furie la legittima consorte un pò "all'antica" che scatena in scenate e minaccia di fare le valigie. Il figlio adolescente inoltre assume comportamenti stranissimi: sul motorino indossa il casco e ha il cuore che batte per una ragazzina poco "fimmina", circostanza incresciosa sanata con una benefica iniziazione sessuale con l'amichetta di papà. Il suo paesino ridente ha smesso di ridere e pare turbato da forze oscure: i rappresentanti dello Stato minacciano seriamente i loschi intrighi mandando allo sbaraglio un integerrimo candidato di una lista civica. Le imminenti elezioni comunali costituiscono l'unica soluzione possibile: il popolo dovrà accogliere il fumantino Cetto come suo futuro sindaco. Il lestofante si ritrova in piena campagna elettorale pronto a sbaragliare i poveri avversari con mazzette, carichi di "pilu", balletti, lustrini e promesse allettanti. Il comizio delirante sulla pubblica piazza mette a nudo più che le sue pretese da criminale, l'approvazione della massa inebriata dalla facile conquista della felicità a buon mercato. Cetto arriverà al traguardo, servendosi del contributo prezioso fornito da un professionista della vendita dell'immagine (Sergio Rubini): un guru mediatico che sembra uscito da "Power" di Sidney Lumet e che, attraverso piccoli accorgimenti, riuscirà ad ottimizzare la sua popolarità. Tristemente il feudo calabro avrà il suo pazzo regnante. Il ponte sullo stretto si farà, magari ballando la tarantella...
Le incursioni e i comizi disamorati di Cetto La Qualunque incontrano nella cornice cinematografica un grosso limite, difficilmente sostenibile, ma non per questo abbassano il potenziale tasso comico di una pellicola che non mancherà di provocare risate incazzate, pur riscontrando pause frequenti. Sergio Rubini, Luigi Maria Burruano e un bravissimo Antonio Gerardi (il tenente che sogna di riportare un barlume di legalità) sono utili alla causa cavalcando degnamente l'onda calabra dell'incontenibile protagonista. Quello che più affascina nella pellicola diretta da Giulio Manfredonia è una cura per i particolari di contorno: le scenografie trash e i costumi sgargianti di Roberto Chiocchi accentuano l'atmosfera assurda di un goffo teatrino con maschere saltate fuori da un cartone animato per adulti. Antonio Albanese ipoteca, grazie alla sua risaputa esperienza con i tempi comici, i momenti migliori di una vicenda in verità leggermente allungata, con esubero di battute evitabili. Storpiature verbali e mostruosità contemporanee ci mostrano il degrado di un paese irriconoscibile che sembra aver dimenticato d'essere stato per anni culla della civiltà. "Qualunquemente" sia il vostro pensiero, lo scenario politico immaginario di Cetto pare quasi un Eden remoto, un'oasi fiabesca in cui la travolgente filosofia del "pilu" fa meno danni dei sorrisi rivolti al nucleare come fonte di energia alternativa. Nella sua totale follia, il qualunquismo del protagonista principale gioca con la sua maschera, un pò meno con le vite di inconsapevoli cittadini, visto che la realtà politica supera "parecchiamente" l'immaginazione. E forse son peggiori altri comizi, dove la grammatica è a posto non quanto la coscienza degli imbonitori che hanno dimenticato, forse, d'essere in definitiva impiegati al servizio dei contribuenti.
Uci Cinemas, Molfetta - 21 Gennaio 2011 (Barisera) |