"Però che anni meravigliosi abbiamo vissuto". Accucciati con le manette ai polsi nel furgone della penitenziaria mentre sbirciano la perduta libertà dalla grata, come leoni in gabbia, due impiegati "sfortunati" non possono fare a meno che rimpiangere il sapore della gloria prima della caduta. Allo stesso tempo fa sorridere e masticare amaro l'intestazione dell'unico foglio rimasto integro ed illeso dalle concitate fasi di occultamento di fascicoli compromettenti dal blitz dei finanzieri: "piano di risanamento aziendale". "Il gioiellino" cambia nomi, maschera luoghi, camuffa situazioni, ma tutti più o meno sappiamo di cosa si sta parlando. Il perno centrale è il tracollo finanziario di un colosso nel settore agroalimentare italiano, una sorta di Enron italico avvenuto agli inizi del nuovo millennio, frutto delle assurde mire espansionistiche e delle allettanti ma inaffidabili promesse della nuova economia. Il gioiellino in questione è la "Leda", azienda del nord Italia che produce latte, gestita dal suo fondatore, l'esperto industriale Amanzio Rastelli (Remo Girone), affarista tradizionalista ma senza alcuno scrupolo nella gestione dei profitti. Dal 1992 al 2003: undici anni di folli corse, cavalcando mercati, venendo a patti con partiti e uomini di potere, ungendo organi di stampa e accattivandosi il consenso popolare attraverso le prodezze internazionali della squadra di calcio. Diversificare, potenziare, in nome del marchio che in definitiva che cosa è se non il commercio di un valore. Inizia così la caduta ripida della "Leda": quando le porte che contano cominciano a chiudersi, quando la produzione del latte diventa davvero un dettaglio trascurabile. Ne sa qualcosa il direttore finanziario Ernesto Botta (Toni Servillo) che comincia a falsificare i bilanci, illudendosi di risolvere con l'entrata in Borsa, l'insormontabile problema di un colosso economico con le gambe d'argilla. E poi l'inevitabile resa prima di un geniale colpo di tacco alla new economy: "se i soldi non ci sono, inventiamoli". Cifre truccate con la scolorina e la colla, come i lavoretti delle elementari. E qualche impiegato che cede sotto i colpi micidiali del rimorso: per paura di finire in prigione il direttore marketing si getta nel fiume. E' l'anticamera del disastro di enormi proporzioni che sta per abbattersi: una voragine di miliardi di euro, il commissariamento inevitabile, il tintinnio di manette, la fuga.
Il cinema italiano sale in cattedra per una lezione esemplare di storia contemporanea. Al suo secondo film Andrea Molaioli dopo il noir "La ragazza del lago" mostra di aver maturato una definita cifra personale, pur lasciandosi guidare dallo stile di Rosi e di Damiani per illuminare un angolo buio della nostra storia recente. Evitando goffe situazioni da fiction, svincolandosi da forzature caricaturali. Benchè il film faccia riferimento ai diretti interessati di un eclatante scandalo finanziario, lo spettatore riesce a riconciliarsi con un cinema d'impegno civile caratterizzato da ritmi serrati e dalla versatilità di tempi tipiche di un documentato reportage. Il duello Girone/Servillo (il primo è il braccio, il secondo la mente) si esaurisce in un prevedibile ex-aequo, benchè l'attore campano torni ancora una volta ad accentuare i silenzi e l'inquietudine di personaggi ambigui, anonimi e spaventosi. A suo modo il film resta un ritratto imperdibile di mostri contemporanei, di infelicità riposte nell'illusorio trionfo della società dei consumi. La provincia che patisce i colpi bassi della legge del profitto. Ritratto d'un paese violentato dalla globalizzazione, è un film che regala in uguale misura fascino e malessere. Senza alcun dubbio un gioiellino, il film italiano più interessante di questa nuova stagione.
Cinema Opera, Barletta - 4 Marzo 2011 |